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Alcuni estratti dal capitolo sulla pornografia dal mio Il corpo esplicito. Breve storia critica dell’erotismo occidentale (Paginauno edizioni, maggio 2017).

 

A partire dagli anni Settanta del XX secolo, sulla scia della globale liberalizzazione dei costumi sessuali, si ha l’affermazione culturale ed economica di una pornografia di massa.
Dal punto di vista etimologico, il vocabolo “pornografia”, mutuato dal francese pornographie, deriva dal greco antico πόρνη (pòrne), “prostituta”, e γραϕία (graphía), “scritto”. In Dipnosofisti (Δειπνοσοϕισταί, libro XIII, 21), lo scrittore greco Ateneo di Naucrati (II-III sec. d.C.) usa il termine πορνογράφος, pornográphos, per indicare sia scrittori che trattano il tema della prostituzione, sia pittori noti per aver realizzato opere erotiche (tra cui Aristide di Tebe, Pàusia e Nicòfane).
In epoca moderna, il primo a usare una parola composta derivante dal lemma πόρνη è stato lo scrittore libertino Nicolas-Edme Rétif (detto Restif de la Bretonne), che pubblicò nel 1769 un testo intitolato: Le pornographe ou Idées d’un honnête homme sur un projet de règlement pour les prostituées, propre à prévenir les malheurs qu’occasionne le publicisme des femmes. Per l’autore francese, il vocabolo pornografo aveva ovviamente una valenza definitoria, non dispregiativa: designava infatti una funzione morale, positiva, di regolamentazione del meretricio (nel titolo, non a caso, si parla di “onest’uomo”). (…)

La pornografia moderna si afferma con Sade, e in particolare con Le 120 giornate di Sodoma, opera che già include tutti gli stereotipi del genere: compilazione e ripetizione ossessiva di situazioni erotiche esplicite; riduzione dei personaggi a pure macchine del sesso, sempre eccitati e pronti alla copula, ridotti ormai funzionalmente alle esperienze sessuali che formano l’incontrastato plot della narrazione; impostazione maschilista, con generale asservimento della donna, la quale resta incondizionatamente disponibile a ogni atto sessuale; focalizzazione dell’attenzione sui dettagli erotici, in particolare sugli organi sessuali; intercambiabilità dei corpi e delle figure erotiche; tendenza ‘totalitaria’ a inglobare nella sfera sessuale tutti gli elementi della realtà (…).

I primi filmetti hardcore venivano proiettati generalmente nei bordelli e distrutti molto spesso in seguito a perquisizioni e sequestri della polizia. La più vecchia pellicola pornografica di cui ci sia rimasta traccia è À l’Écu d’Or ou la Bonne Auberge (Francia, 1908), della durata di circa quattro minuti, in cui si vede dapprincipio una domestica masturbarsi con il tubo dell’aspirapolvere (!); quando i padroni di casa la scoprono, anziché redarguirla, la coinvolgono in un gaudente threesome, con tanto di sesso orale, 69 e penetrazione vaginale. La produzione del porno, per diversi decenni, restò clandestina e fu gestita in gran parte dalla criminalità organizzata, soprattutto negli Stati Uniti. Solo a partire dagli anni Sessanta si ebbe una progressiva depenalizzazione. Nel 1969, la Danimarca fu il primo paese a legalizzare il cinema pornografico. Nello stesso anno, la Corte Suprema degli Stati Uniti giudicò legittimo il possesso privato di materiale osceno (sentenza Stanley v. Georgia, 394 U.S. 557), dando di fatto un forte impulso al commercio pornografico. Sempre del 1969 è Blue movie di Andy Warhol, il primo film contenente scene di sesso esplicito proiettato nelle sale americane. Sarà proprio il lungometraggio di Warhol a inaugurare la cosiddetta Golden Age of Porn (1969-1984 ca.), vale a dire il periodo in cui i film con contenuti sessualmente espliciti suscitano una positiva accoglienza anche da parte dell’industria cinematografica mainstream. Nel 1972 escono nelle sale Behind the green door dei fratelli Mitchell (tra i primi grandi registi e produttori porno) e Deep Throat di Gerard Damiano. Entrambe le pellicole ebbero uno straordinario successo d’incassi. Dietro la porta verde, girato con un budget di sessantamila dollari, ne incamerò un milione già nella prima settimana di programmazione. Il film dei Mitchell contiene probabilmente la prima scena di sesso interrazziale, che vede protagonisti l’attrice Marilyn Chambers e l’ex pugile dilettante di colore Johnnie Keyes. La scena finale è invece un facial cumshot della durata di oltre cinque minuti, riprodotto in slow-motion e impreziosito da giochi di colore psichedelici, nonché da una musica evocativa, quasi rituale (che oggi passerebbe per post-industrial). Altra nota saliente di Behind the green door è il fatto che la Chambers non dica una sola battuta in tutto il film. Irrimediabilmente senza parole, senza voce, il suo personaggio è l’archetipo del corpo disponibile oltre ogni dire, il cui solo linguaggio è legato alla copula, al piacere del maschio e all’iterazione dello scambio sessuale fine a se stesso o addirittura imposto.

Apoteosi del pompino, Deep Throat (Gola profonda) incasserà almeno cento milioni di dollari soltanto nelle sale, a cui vanno sommati gli introiti derivanti dalla successiva commercializzazione in videocassetta (si parla di cifre favolose…). Il film presenta ancora un minimo di narrazione (benché piuttosto banale): la protagonista, Linda Lovelace, si rivolge a un sessuologo per curare la propria frigidità e scopre grazie a lui di avere la clitoride in gola (!); comincia quindi ad affinare le proprie doti di fellatrix in modo da raggiungere il piacere. La pellicola non manca d’ironia e leggerezza, che vengono però spazzate via non appena si ricordino le memorie lasciate dalla Lovelace (il cui vero nome era Linda Boreman), nelle quali si parla di abusi da parte del suo primo marito, Chuck Traynor, che l’avrebbe costretta a prostituirsi e a dedicarsi al porno minacciandola in più occasioni con una pistola. Il produttore del film, Louis “Butchie” Peraino, era figlio di Anthony, un boss della famiglia mafiosa dei Colombo. A fronte degli incassi da capogiro, la realizzazione di Deep Throat era costata appena cinquantamila dollari. Il cachet della Lovelace ammontò ad appena milleduecentocinquanta dollari, incamerati a quanto pare dal marito, mentre il regista Gerard Damiano, non appena il film cominciò ad avere successo, fu costretto ad accettare un forfait di venticinquemila dollari, rinunciando a ogni ulteriore pretesa. L’età d’oro del porno produsse almeno un altro paio di film degni di nota: The Devil in Miss Jones (1973) e The Opening of Misty Beethoven (1976), per poi concludersi intorno alla metà degli anni Ottanta con l’avvento di un porno seriale, meramente compilatorio e del tutto autoreferenziale, caratterizzato da un flusso incessante di scene di sesso svincolate sempre più da ogni forma di narrazione.

Il triviale e il lubrico non sono soltanto una caratteristica generale delle immagini porno, ma anche una qualità di chi le guarda e consuma, come pure un attributo delle situazioni particolari in cui egli ne usufruisce. Pornografica è la relazione tra ciò che è sessualmente esplicito e coloro che ne consumano la rappresentazione attendendosi un godimento minimo garantito.
L’industria della pornografia sta colonizzando progressivamente la vita quotidiana dei civilizzati, ma non potrà occupare tutto l’immaginario e tutti i corpi, dovrà conservare uno spazio morale, incorrotto, in modo da evitare la svalutazione degli stessi elementi pornografici che sono alla base della sua economia. Inoltre, dovrà mantenere la gran parte dei fruitori in uno stato di subordinazione rispetto agli oggetti porno della valorizzazione capitalista: se ogni consumatore di pornografia diventasse a sua volta un produttore di materiali porno, giungendo ad avere un pieno controllo su produzione e distribuzione degli stessi, l’industria che governa la pornografia di massa perderebbe buona parte della sua presa sul mercato e dovrebbe riconvertire funzionalmente l’osceno per aprirsi nuove strade. (…)

La dimensione pornografica – lo spazio in cui il porno si autovalorizza – è un po’ come il bagno di una scuola o la toilette di una stazione di servizio sulle cui pareti si disegna o si guarda divertiti un’immagine scurrile. I rapporti mediati dall’osceno – dal porno – sono da intrattenere in uno spazio delimitato, definito, riconoscibile, sennò le immagini sconce rischierebbero di invadere la realtà – e il mondo intero – mettendo in discussione il futuro della società a favore di un eterno presente del godimento.
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, lo spazio pornografico è andato diversificandosi enormemente in modo da includervi chiunque. La proliferazione dei sottogeneri porno è emblematica: anal, amateur, milf, teen, gonzo, gay, trans, creampie, ecc. – ognuno può coltivare e mostrare le proprie inclinazioni sessuali in un territorio che le integra pacificamente, acriticamente; ognuno ha la sua stanza dei giochi virtuale; tutti possono godere di una lente a focale fissa sul mondo del sesso. Il governo sociale della pornografia allarga continuamente il numero dei consumatori seriali di oscenità, liberandosi progressivamente delle implicazioni affettive ed estetiche. L’immagine pornografica tende ormai sempre più alla raffigurazione della nuda vita, mentre l’ homo pornographicus viene ridotto a “moneta vivente” dello scambio simbolico erotizzato, in cui tutti possono essere dei pornografi, ma dove nessuno può gridare che il re è nudo e s’incula il mondo. (…)

La pornografia contemporanea è il comunismo realizzato tramite la socializzazione dei dettagli carnali, genitali. A differenza dell’idea politica comunista, il comunismo pornografico è all’insegna della più elementare e acritica immediatezza del godimento. È l’idea del poter scopare liberamente tutti gli altri nella loro virtuale e illimitata disponibilità. È lo scopare per lo scopare. Anzi, in teoria, è lo scopare in effigie tutti quelli che si rendono disponibili mediante una rappresentazione accessibile della loro carnalità esplicita.
Ormai, siamo tutti uguali nell’indistinto del porno. Tutto e tutti contengono una particola di sesso, di pornografia: «Dopo l’era in cui l’energia sessuale doveva essere sublimata per tenere in funzione la catena di montaggio della fabbrica di automobili [riferimento al Freud di Die “kulturelle” Sexualmoral und die moderne Nervosität, 1908], è giunta l’era in cui c’è stato bisogno che l’energia sessuale venisse nutrita, lasciata libera di scegliere qualsiasi canale di sfogo disponibile e incoraggiata a dilagare, di modo che le automobili che lasciavano la catena di montaggio potessero essere desiderate come oggetti sessuali.» (Z. Bauman).