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Mi chiedo ormai da anni se ogni idea di poesia non abbia in sé un carattere transitorio, se il suo editore migliore non sia in fondo quel fuoco di stoppie evocato da Char nella nota introduttiva di Feuillets d’Hypnos.
L’idea stessa della poesia – il suo assediare il mondo simbolico per farne senso – non è forse legata a doppio filo a un’idea di fuoco, di vampa?
La guerra; l’amore sempre furtivo agli occhi del mondo; il cameratismo dei resistenti; i dettagli della natura che diventano alimento di un moto verso l’unitarietà del senso: tutto questo si ritrova negli aforismi poetici e “partigiani” di Char. Potremmo dire: in ogni autentica poesia, scritta o no che sia.
E qui il mio pensiero va alla possibilità dell’assenza, all’eventualità che questi frammenti non ci fossero mai giunti, al destino delle cose e degli uomini che avrebbe potuto serrarli per sempre in quel muro a secco dove Char li aveva occultati.
Non è forse già per eludere o combattere la possibilità di quest’assenza – potrei dire: di quest’assenza sempre alle porte, sempre ai margini dell’essenza – che si va sviluppando l’insieme delle lotte (e delle unicità) alla base di ogni slancio poetico? Non è forse dentro il movimento di queste lotte che noi riusciamo a tenere insieme la generalità del senso e le eccedenze dei corpi senza ossificarli in una Legge?
Non sempre la poesia esce viva dai corpi che ne sono sedotti. René Char ha colto la sua chance. Sta ad ogni presenza umana costruirsi un destino nell’amicizia del mondo. Nessuna sconfitta è mai possibile per chi si svincola da ogni salvezza. Vivere per saper morire, morire per saper vivere. La ricetta è antica quanto la bellezza.

23 aprile 2012