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AUTOS VERWUESTUNG PASSANTEN

[Titolo originale: Tracts, affiches, bulletin, «Comité», n. 1, ottobre 1968. Traduzione di Carmine Mangone.] (1)

Lo scrivere su, in ogni caso, è sconveniente. Ma scrivere sull’avvenimento che è destinato (tra l’altro) proprio a non permettere mai più che si scriva su – epitaffio, commento, analisi, panegirico, condanna –, ciò significa addirittura falsarlo ed averlo già mancato (2). Per cui noi non scriveremo mai su ciò che ebbe, non ebbe luogo in Maggio: non per rispetto, né per paura di ridurre l’avvenimento circoscrivendolo. Ravvisiamo in questo rifiuto uno dei punti in cui la scrittura e la decisione di rottura s’incontrano: l’una e l’altra sempre imminenti e sempre imprevedibili.

• Sono già state pubblicate decine di libri che trattano ciò che ebbe, non ebbe luogo in Maggio. In genere sono intelligenti, in parte giusti, forse utili. Scritti da sociologi, professori, giornalisti o militanti. Com’è ovvio, nessuno si attendeva di veder sparire, grazie alla forza del movimento che in qualche modo lo interdice, la realtà e la possibilità del libro: vale a dire il suo compimento, il suo adempimento.

xxx• Il libro non è scomparso, riconosciamolo. Eppure, possiamo dire che tutto quel che nella storia della nostra cultura, e nella storia tout court, continua a destinare la scrittura non al libro ma all’assenza di libro, non ha cessato d’annunciare, preparandolo, lo sconvolgimento. Ci saranno ancora dei libri e, quel che è peggio, dei buoni libri. Ma la scrittura murale, questo modo che non è né iscrizione né elocuzione, i volantini distribuiti in fretta e furia per strada e che sono la manifestazione della fretta della strada, i manifesti che non hanno bisogno di essere letti ma che sono là come sfida ad ogni legge, le parole del disordine, le parole fuori del discorso che scandiscono i passi, gli slogan – e bollettini a decine, come questo bollettino, tutto quel che scuote, chiama, minaccia e infine domanda senza attendere risposta, senza riposarsi in una certezza, noi non lo rinchiuderemo in un libro, che anche aperto tende alla chiusura, forma raffinata della repressione.

• In Maggio, non c’è libro sul Maggio: non per mancanza di tempo o per necessità “d’agire”, ma per un impedimento più decisivo; lo si scrive altrove, in un mondo privo di edizione, lo si diffonde di fronte alla polizia e in un certo modo con il suo aiuto, violenza contro violenza. Questa sospensione del libro, che è anche sospensione della storia e che, lungi dal ricondurci a prima della cultura, designa un punto situato ben al di là della cultura, ecco ciò che più provoca l’autorità, il potere, la legge. Che questo bollettino prolunghi quella sospensione, impedendogli d’arrestarsi. Non più libri, mai più, per tutto il tempo che saremo in rapporto con lo sconvolgimento della rottura.

• Volantini, manifesti, bollettini, parole di strada o infinite, non è per scrupolo d’efficacia che s’impongono. Efficaci o no, appartengono alla decisione dell’istante. Appaiono, scompaiono. Non dicono tutto, al contrario rovinano tutto, sono fuori di tutto. Agiscono, riflettono frammentariamente. Non lasciano traccia: un tratto senza traccia. Come la parola sui muri, si scrivono nell’insicurezza, sono ricevuti sotto la minaccia, portano essi stessi il pericolo, poi passano, con il passante che li trasmette, li perde o li dimentica.

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(1) Ora in: Maurice Blanchot, Écrits politiques, Éditions Lignes, pp. 118-120.

(2) L’autore si riferisce al Maggio ’68, sul quale, alcuni mesi dopo, annoterà: «Rivoluzione, come non ce ne furono altre; per niente assimilabile a questo o a quel modello. Più filosofica che politica; più sociale che istituzionale; più esemplare che reale; e distruggendo tutto senza niente di distruttivo, distruggendo non tanto il passato, quanto il presente stesso in cui si compieva e non cercando di darsi un avvenire, estremamente indifferente all’avvenire possibile, come se il tempo che cercasse di aprire fosse già al di là di queste determinazioni usuali. Ha avuto luogo. La decisione di una discontinuità radicale e, per così dire, totale, è caduta, separando, non due periodi storici, ma la storia da una possibilità che già non gli appartiene più direttamente» (ibidem, p. 143). Blanchot tornerà sull’argomento con alcune splendide pagine in La communauté inavouable, Les Éditions de minuit, Paris 1983 (cfr. traduz. it.: La comunità inconfessabile, SE, Milano 2002, pp. 65 e sgg.). Un breve accenno al ’68 anche in Michel Foucault tel que je l’imagine, Fata Morgana, Montpellier 1986: «Checché ne dicano i detrattori del Maggio, fu un bel momento quello in cui ciascuno poteva parlare all’altro, anonimo, impersonale, uomo tra gli uomini, accolto senz’altra giustificazione che quella proprio di essere un uomo» (Michel Foucault come io l’immagino, Costa & Nolan, Genova 1988, p. 5).