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Carmine Mangone, L’ingovernabile, Ab imis, 2018, 130 pp.

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In copertina: Zbigniew Łagocki, fotografia appartenente al ciclo “Dotknięcia” (2001).

Il presente scritto è la versione rivista e ag­giornata di un testo pubblicato originaria­mente nel 2011 dalle edizioni marchigiane Gwynplaine. All’epoca, ebbe però un titolo diverso: La qualità dell’ingovernabile.

Si tratta di uno scritto cui tengo moltissimo, perché tratteggia in modo incisivo, netto, e senza troppi fronzoli, tutti i temi che hanno continuato a stregarmi in questi anni.

Per poter continuare a essere la mia “casset­ta degli attrezzi” teorica (e intrigare i miei pochi, eccellenti lettori), aveva però biso­gno di una messa a punto formale; cosa che ho provveduto a fare senza modificare qua­si in niente la sostanza delle mie idee e dei miei affetti.

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[ Alcuni estratti dall’opera: ]

Chi non sa dove andare, possiede ancora tutte le direzioni. Chi ha paura del freddo, può sempre lasciarsi bruciare godendo del proprio fuoco. Chi affronta il vuoto, deve convincersi di non avere niente da perdere e che le difficoltà nel conoscere il mondo rendono quest’ultimo solo più avvincente.

Voglio sempre sperare che chi scriva lo faccia solo quando non ha di meglio da fare, perché avrei tristezza e paura di coloro che preferiscono armeggiare con le parole invece di fare l’amore, giocare, ribellarsi, andare a camminare sui monti, bighellonare senza meta per la città, bere o parlare amabilmente con gli amici.
La scrittura, e la poesia scritta in particolare, rimane in relazione con il senso solo quando questo stesso senso si mantiene in relazione con il nostro mondo e con i viventi che vi partecipano attivamente; oppure quando si fa ponte gettato verso l’impossibile, verso la gioia che sarà, e che vorremmo per noi, per la nostra comunità amorosa.
Le parole che restano, quelle cioè che diventano testo, libro, voce fissata in un’opera, non vanno vissute o veicolate come se fossero residui, scorie di ciò che è stato o di ciò che si è solo vagheggiato, ma devono farsi scintille, connessioni col mondo, nuova carne poetica.
Solo così possono ancora significare quella rigorosa ingenuità di cuore che rimane alla base di ogni bel movimento di ciò che vive.

L’anarchia è la potenza che non assume forma – movimento della negazione che delegittima la padronanza dei limiti senza limitarsi a padroneggiare la negazione.
Amore furente, creazione finanche per mezzo della distruzione: l’esistenza dell’anarchia testimonia l’impossibilità reale del potere e l’impossibilità stessa di stabilire la potenza dentro un’idea. Ogni anarchismo politico ha perso e perde in partenza, non tanto contro il potere, bensì contro il movimento stesso dell’anarchia, che non ha bisogno di vincere per affermarsi. Nessun potere vincerà l’anarchia. Nessuna struttura anarchica sopravvivrà al proprio movimento.

Mi dovrò intagliare una fica dentro la mente, aprire una vagina nella sostanza più dura del mio pensiero. I concetti non sono cazzi da brandire come manganelli. Occorre trovare il giusto accoppiamento tra i pensieri (ci sono pensieri maschi, pensieri femmine, pensieri senza genere) evitando però di prostituirli alle necessità di una logica. Bisogna fare in modo che anche le idee riecheggino i godimenti passati o futuri.

Spogliare il corpo di ogni spettacolo. Spogliare il mio e il tuo, di corpi, insieme ai loro pensieri, alle cose, alla parola che li limita.
Svestire il destino, toccare, amarsi, mentre l’idea del corpo continua a parlare senza di noi.

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