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[ Recensione di Roberto Bellassai su Sicilia Libertaria n. 442 del novembre 2023; stessa nota di lettura anche su evarconews.it ]

[ Nota di lettura su Nostra Poesia dei Lupi di Luca Gamberini, 11 luglio 2023. ]

[ Nota di lettura “appassionata” su NPdL di Silvia Fera, 29 settembre 2022. ]

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Io son di quelli che ancora credono alla poesia possibile delle relazioni e alla gioia dell’incontro, sragion per cui mi ostino a vivere, insisto con la scrittura, pianto alberi, pianto in asso le risposte evasive che mi do di volta in volta e non mi perso a sputare su ciò che non comprendo.
Osservo i miei luoghi e i miei luoghi mi abitano. Cerco una consonanza con gli ulivi e gli animali del mio Cilento ed essi non si fanno pregare: giungono alla porta del mio spirito e io lascio che entrino. Fronde, presenze, orme dovunque…
Questo piccolo libro che s’intitola Nostra Poesia dei Lupi prova a dire tutto questo e altro ancora. Dice, per esempio, un amore che s’infrange, la rabbia che si trasforma in potatura del superfluo, le parole che ti fanno le fusa, nonché il rigore e la lucidità nell’inseguire un oltre che non è mai altrove.
Pertanto, mie care amiche, amici miei cari, vogliate bene ai limiti dell’autore e cercate fra queste pagine, se vi va, le ombre del sollievo o il raggio di sole che affronta il banale.
Io, per quanto mi riguarda, ce l’ho messa tutta per trovare delle consonanze e per dare un senso alla mia personale battaglia contro la mediocrità. [Carmine Mangone, 4 luglio 2022]

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Carmine Mangone, Nostra Poesia dei Lupi, Nautilus, Torino, 2022, 64 pagine, euro quattro, no copyright. [distribuz. nelle librerie: Diest]

Per richieste, potete contattarmi tramite il modulo posto in fondo alla pagina Bookshop, su Telegram, oppure inviando una mail all’indirizzo mangone.carmine@gmail.com. Grazie.

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Alcuni estratti da Nostra Poesia dei Lupi:

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L’ho voluta in tutti i miei pensieri.
L’ho sentita parlare alla terra, alle nuvole.
Ho protetto la nostra gioia dai piccoli concetti del tempo.
Le ho dato una mano per farmi attraversare la distanza
che ci divide.
L’ho persa, l’ho ritrovata,
alcune mie parole si sono barricate in suo nome,
ma nessuno,
nessuno mai potrà nasconderci il sole, la morte,
neanche Dio, neanche l’ignoto.

*

Nessuna corteccia biasima il vento.

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Un improvviso bisogno di semplicità mi colpisce al volto e mi fa bestemmiare per un piccolo gatto lasciato morto sul ciglio della strada da questa immane tragedia che si chiama civiltà.

*

Io festeggio il mondo ogni giorno – e le pietre rotolano contente sotto il cuore – anche quando il mondo frena, inciampa ed io guerreggio con esso.
Ardire un sorriso. Ardire il sole. Ardire la pervicacia della faina combattente.

*

Dove sono incastonati gli occhi dell’albero?
In quale pietra si nasconde il sorriso della terra?
Che cosa sognano i semi portati dal vento?
Sulle ali della poiana, monta l’ambizione dell’aria.
Fra le tue mani, abita la primavera delle carezze.
È forse tardi per andare col mondo?
Ogni giorno, il desiderio costruisce una tana in cui morire,
mentre una giovane volpe mi urla dai quattro cantoni
della bellezza.

*

Siate cauti, ma non fatevi abbrutire dalla paura. Mantenete una distanza rispetto alle tante morti che ci assediano o ci lusingano, ma non rispetto alla bellezza sempre possibile della vita. Non isolate la vostra bellezza. Inventate nuove tenerezze, nuove modalità per fregare la morte e non datela
vinta a chi ci vuole isolati, impauriti, mediocri nichilisti senza compassione.

Voi potreste chiedermi: cos’è questa bellezza sempre possibile della vita di cui ci parli? Perché mai dovremmo inventarci nuove tenerezze? Per quale motivo non dovremmo isolarci e premunirci contro il mondo assoldando per la nostra bisogna il meglio del pensiero nichilista?
Vedete. Se il tetto perde acqua, non per questo la casa deve diventare un naufragio. Basta individuare le tegole fuori posto e sistemarle. La bellezza è solo un nome per la zattera su cui troviamo posto mentre intorno a noi ogni cosa continua a morire. Affrontare i flutti può sembrare
vano, ma solo finché non assumete il punto di vista del surfista che si mette in gioco tra le pieghe dell’oceano. L’onda è il sorriso del mare, la benedizione del destino che vi allontana dalla noia di Itaca. Avete paura? E che senso ha questa vostra paura se neanche vi degnate di sfidare i limiti che vi riconoscete? Possibile che vi accontentiate di tenere al largo la morte senza la benché minima voglia d’accarezzare la balena bianca?

*

Oggi pomeriggio, per circa un’ora, una coppia di poiane ha volteggiato sontuosamente sopra la mia casa. E ho pensato: lascerò il mondo in buone ali.

*

Le carezze che non ti ho dato
sono nell’aria pura del disincanto,
fra le mani di chi mai si farà fregare dal
rimpianto.
Arriveranno col primo sole
– ardite, inclementi –,
dopo questa mediocre apocalisse
che spaventa i servi
e ritempra le sementi.

*

Casa è dove liberi la tua morte.

*

Quando morirò, se la sorte mi arride, sarà un giorno come un altro, ma non certo una morte come un’altra. I gatti seguiteranno a fare le fusa, le radici a carezzare la terra, i libri a restare ancor più aperti. Morirò allora ridendo del mio povero infinito e di tutte le cadute che avrò mancato, ma non per questo chiederò i danni alla materia o all’amore. Non voglio sconti dall’eterno, né tanto meno la
commiserazione dei vostri cieli migliori. Sarebbe d’altronde disdicevole fare della morte una transazione economica o un pessimo avatar della poesia.