Estratti da: Romina Capo, Carmine Mangone, Più cocciuti della morte, Ab imis, 2023. Le fotografie sono di Germana Stella Sebastianelli.

[ ROMINA CAPO > ]
Caparbia la parola nel senso
che illusa ne fa cosa viva .esistente
ancor prima che si accendesse
Che disperdesse in tentacoli il buio
per stupirci e mantenerne le promesse
Comuni le fusa del gatto
la bocca chiusa in un raggiro
di topi in fuga dal suo ventre
Nel mentre la ruga sullo specchio si fa
più sicura del suo percorso netto.
[ CARMINE MANGONE > ]
Il tempo è una sfocatura prospettica della nostra presenza di spirito. Lo dice la meccanica quantistica, non io. Ma se davvero così fosse, per quale motivo le mie rughe mi metterebbero a fuoco assai meglio di quanto facciano tutte queste parole che provano pateticamente a costruire una durata e a dare una scansione un po’ meno mortale al mio orgoglio?
Il chiuso gelo del giudizio incita il polline alla diserzione. Lo vorrebbe tutto per sé: coniugato alla stasi, incatramato alla prevedibilità. Niente di più risibile! Il polline è un moto dell’eventuale. Corteggia le spore, sperimenta l’adesso, circuisce le api. Grazie ad esso, il campanile batte meno rintocchi, la casa traballa, eppure una pianta qualsiasi (come pure un’idea, un affetto) non cresce di meno, non muore di più.
Le rughe sono una renitenza, un’allocazione, non dei semplici solchi tracciati dalla stanchezza, dall’orgoglio di una durata. Restano la compassione d’una materia che mi cede il passo a ogni accapo della vita e non il letto di morte dell’ulteriore.
La materia non dipende da me. Io non dipendo dal tempo. Posso trovare un’origine, un phylum, non una fine. La leggerezza scava canali d’irrigazione anche quando restiamo senz’acqua. D’altronde, possiamo innamorarci del deserto, dell’orizzonte a perdita d’occhio, ma lottiamo sempre e comunque per i pozzi, i semi a dimora, la tana verdeggiante.

[ ROMINA CAPO > ]
Di tutti i luoghi un non luogo
vicinissimo allo schivare certezza
una carezza di vino a sera
una gonna di cielo in trasparenza
indizio di candela svaporato in cera
Il prodigio dell’impostura
quando cura è malattia
è la disinvoltura della parola
nel suo ligio vestire il senso
che nudo vorrebbe stare
Nella bugia rimarginare il danno
sarà un baratto di tenerezza
riunire acqua e fuoco senza inganno
un quieto andare
come fascine al rogo.
[ CARMINE MANGONE > ]
In tutti i luoghi non comuni dell’affetto, la sovversione è illeggibile.
Verde, come una primavera che non ti lascia mai in bianco.
Nera, come una notte che si sfili la gonna per sedurre gli ultimi cuccioli della veemenza.
La leggibilità del mondo è sempre stata una rilegatura di comodo, una legalità del tutto effimera. La trasformazione non ha bisogno delle nostre petulanti riformulazioni del rigore. Il divenire dei corpi sensibili – in ogni vita, in ogni morte – è sempre stato e sempre sarà un nondimeno a fior di pelle.
Grazie alla nascita, si viene lanciati in quest’azzardo che è il divenire della nostra materia, lungo il quale, ritagliandoci un territorio, si prende atto del conflitto, della presenza problematica dell’Altro, ma anche del nostro conseguente desiderio di ricavarne degli incontri colmi d’avvenire.
L’Altro è l’immanenza di tutti i possibili che ci attraversano, nonché una continua promessa di consonanza o di poetico concatenamento delle traiettorie.
Si nasce dunque per giocare con la singolarità dell’azzardo, non per prendersi gioco della chance avuta. Solo gli spiriti servili giungono a beatificare il nulla e a dileggiare la morte. Il conflitto è l’accoglimento affettuoso e comune della continua ricombinazione di tutte le cose, altrimenti la poesia non è.
Nell’abbraccio tra i diversi flussi d’energia, i modi dell’affetto sono forse l’unico ponte tra la nascita e il diuturno remix di ciò che ho definito «immanenza di tutti i possibili»; un ponte, un’elusione dell’inerzia cui ci costringe il nostro stesso pensiero: costanza insubordinabile della materia che ci viene a dettare i limiti della presenza e il loro stesso oltrepassamento.
La poesia, in tutto questo, è il nostro risveglio a una critica locale e gentile dell’universale; potenza che diviene po(e)tenza estraendo dal moto degli elementi una voluttuosa collezione di compiutezze realmente e criticamente cercate, volute, adempiute.
Pingback: Gioielli Rubati 274: Silvia De Angelis – Béatrice – Romina Capo – Franco Battaglia – Irene Rapelli – Vanni La Guardia – Bruno Bartoletti – Emilio Capaccio. | almerighi
eccellenti dialoghi in poesia e prosa, Romina Capo scrive versi molto forti dunque rubo la seconda poesia per il Domenicale del 12 novembre, ciao
Grazie, Flavio, anche da parte di Romina. Se puoi, indica nel tuo post il link di riferimento per i download: https://carminemangone.com/2023/10/25/romina-capo-carmine-mangone-piu-cocciuti-della-morte-ab-imis-2023/ Un abbraccio.
ok ora vado ad aggiungerlo
Très merci à toi.