[ Testo tratto da: René Cazelles, Di terra e di voli, Ab imis, 2024. Illustrazioni: Viviana Leveghi. ]

1
Canta, al ritmo leggero dei grilli, canta, tu, serena tra tutte, costellazione; e che la corsa delle stelle ricopra l’orribile sibilo dell’insetto spaziale.
2
Al grande castello di prua del mondo, io mi chino e ti chiamo, notte confidente, notte d’infinita pazienza.
Sii la culla dei nostri sogni, come pure il nostro nido di violenza. Se al momento siamo occupati nei lavori sotterranei e nelle opere d’irrigazione, quando l’erba non gelerà più sotto la luna, quando le nostre mani potranno separare le nevi dalla rugiada, noi faremo fruttificare le aurore.
3
L’odore del mare penetra nel profondo dei giardini e copre le piante. Il soffio dell’ultimo sole solca ancora l’orizzonte, poi è il regno di luce che sveglia gli amanti, il regno della tua mano che accende la lampada dei loro sogni sulla fronte di chi dorme. In ogni cipresso cola il sangue limpido degli usignoli. Ô notte illuminata, notte propizia, io cerco nel turbinio delle tue fonti il linguaggio primitivo della terra, al tempo in cui il sole era nuovo: parola che apriva la chiusa, parola-uccello che colmava i cieli di tutto il suo vigore.
4
Ma ecco le tue sabbie sterili dove cresce solo il crisantemo, il fiore dei morti, ecco i tuoi deserti irrespirabili dove muoiono interi carichi di libellule.
Stupidi a forza di restare svegli, tu ci soffochi.
5
Inseguendo una stella cadente, andiamo a pesca di miracoli. Ci basterebbe prendere nelle nostre reti la vegetazione dell’azzurro, il respiro delle arterie, il raccolto dei fiumi, questo canto insulare, a valle, che ci abita tutti, e noi, allora, potremmo sbucciare il frutto del nostro amore.
6
Nascendo dall’argilla viola, plancton cosmico, il cuore del mondo si rivela un grande polmone solidale innalzato al ritmo delle stagioni, un’armonia semplice riecheggiante di firmamento in firmamento.
Di tanto in tanto, un granello di polvere incandescente se ne distacca e viene a fiorire all’altezza del nostro cammino, dentro la bocca d’un poeta.
7
Quanto all’uccello preistorico che sorge dalle tenebre, fende lo spazio, sconvolge i secoli, lui che ci accusa d’essere il morbo incurabile, la pestilenza del soffio divino, tra non molto, in cima al grano, un canto d’allodola lo decapiterà.
[ traduzione: Carmine Mangone ]

è meraviglioso!
Grazie, Flavio. Lieti che ti piaccia il nostro amorevole lavoro di riproposizione dell’oscuro e chariano Cazelles. Un caro saluto.
è meraviglioso