
a Viviana
Non abbiamo alcuna intenzione d’impegnarci in esercizi d’accanimento ai confini della fortuna. Ci teniamo la notte. Non è più tempo per sbiancare il dubbio.
Lo spazio ritorna possibile, implicato, alleviato, e ogni passo si rivela una breccia per lasciare che i segni albeggino in noi senza l’affanno dell’inespiabile.
Lasciare che il seme in collera baci la terra invasata e mai invadibile.
La fuga del poeta dal tempo degli umani ben poco animali. Amplesso di radici tra le contraddizioni che non contestano la purezza.
Contro le moine dell’eterno, un pollone d’entusiasmo.
Perdonare le scintille che amino la cenere irredenta.
Le cose, i sassi, la combinatoria salvifica delle orme. Assediare i palazzi, occultare il bosco.
Abbiamo cantato gli scampoli protervi del sogno. Abbiamo eluso i nomi predestinati. Infedeli al deserto, non potevamo che ridere grandemente della clessidra.
L’origine è il lampo che rincasa ogni volta inventando un nuovo ordine.
Ardere o ardire.
La stessa pelle, gli stessi apici.
Cercare un albero che abbia radici in ogni frutto. Attraversare, insieme al vento pellegrino, gli spazi frondosi dell’indecidibile.
Je suis le renard de feu du matin. Je suis le toi en retard.
La terra e il seme sono compagni di vita, infanzie d’eterno che non si daranno mai scampo.
Il sole li osserva, mentre la memoria li accarezza perdendoli a ogni germinazione.
Anche quando il dubbio rimane impervio, c’è ancora e sempre un volto possibile per la gioia.
La ricerca non finisce mai, ma la sua stessa infinità è sorriso ascensionale.
Le zone del corpo da cui venni amato sono nella diserzione d’ogni mappa.
Il nero insiste. La notte ci questiona.
Spazientito dalle comete recidive, taglio i rami secchi della poesia e uccido tutti gli avverbi di tempo.
Esistono inciampi che esaltano i balzi del futuro e amori senza tempo che preparano il passato.
Mi raccomando il seme, il seme dell’immensità elementare!
In picchiata, un verbo di penne remiganti.
[ Laureana Cilento, ottobre 2024. Illustrazione: Viviana Leveghi. ]