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all'altezza del cuore, amicizia verso il mondo, dilettanti del miracolo, enantiosemia, la sovversione a venire, sapienza erotica
[ Estratto da: Viviana Leveghi, Carmine Mangone, La materia dell’ulteriore. Elementi per una sapienza erotica, Delos Digital, 2024. Illustrazione: V. Leveghi. ]
A un certo punto, abbiamo rotto il mondo. La lingua arrancava dietro il senso, la fatica di stargli dietro non giustificava nemmeno il tentativo. Abbiamo rotto il mondo, sì, ma questo non ha smesso di funzionare: si è aperto, uovo ancora intero nonostante la frantumazione del guscio – ed è in questa interezza controintuitiva che abbiamo potuto scrutare per la prima volta. Ci si aspettava una lista mostruosa di detriti e liquami, di malumori ristagnati, violenze ferine di palude. Invece abbiamo scoperto che il linguaggio proteggeva la realtà in una sua minuscola, straordinaria compiutezza. La storia è stata con noi una levatrice sbrigativa. C’è chi stava per essere accolto con il cappio del cordone ombelicale e chi puntava i piedi in una nascita controcorrente, rovesciata solo all’ultimo da un destino divertito. La madre, a quel punto, ha aderito al suo ruolo con entusiasmi volatili e scarsa consapevolezza. Ci sono carezze che cadono dai buchi delle mani prima di arrivare a destinazione. Certe mani sono troppo legnose per adattarsi agli spigoli. Certi spigoli sono troppo aguzzi e bucano le mani. Spigoli e mani concorrono alla creazione di un territorio di sole frizioni: incomprensioni che piombano le ali, cicattrici (residui fisici di comportamenti teatrali inutilmente drammatici), asperità somministrate a cucchiaiate amare come metodo educativo, scintille ovunque, incendi dappertutto.
Per forza, poi, cerchi la carta. Per forza, poi, cerchi di concepire un mondo più organizzato e più consultabile. Tendi ad animare l’inanimato perché per molto tempo hai vissuto fra persone con l’aspetto di cose, così diventi il dio delle posizioni: fai esplodere il rigido per avere accesso alla libertà e l’atto sovversivo sembra l’unico ragionevole fino a quando ti rendi conto del suo limite. L’atto sovversivo è un atto di inversione che pretende di scambiare il sopra con il sotto, il giusto con lo sbagliato – ma il sotto che ora sta sopra diventa il sopra e bisognerebbe ricominciare daccapo, in continuazione. L’atto sovversivo è un’inversione che esige l’inferno costante, o diventerà sbagliato quanto il paradiso nel quale abbiamo piazzato della dinamite.
L’intuizione improvvisa coglie la tua realtà vivente, alcune cellule sono un esercito; le valvole del cuore, da sole, sono una competenza sufficiente per affrontare manovre di avvicinamento.
Il miracolo: lasciare la fabbrica continuando a lavorarci dentro.
Un’insonnia presuntuosa fa squadra con la notte, cerca di irrigidirci. La fabbrica continua a lavorarci dentro.
Ogni giorno si apre nel sipario orizzontale delle palpebre, ma non finisce mai allo stesso modo: la cura simmetrica, inizialmente accumulata solo in alcuni punti, si anima oltre il virtuale. Parlarsi è più ascoltare l’altro e i suoi automatismi che raccontarsi. Meno affetto come sversamento e più considerazione come confluenza.
Un uomo di nuvole chiazzato dal cielo e non viceversa. Si sorride di molte cose.
La vita ha scelto uno pseudonimo per diventare famosa. A volte si fa chiamare panorama, a volte innesto, a volte orgasmo, a volte infarto. Non ho mai creduto all’Uno deducendolo dalla moltitudine. Nemmeno la bellezza più sfacciata è mai riuscita a corrompermi. Non avevo bisogno di giustificare l’origine, né di attribuire volontà alla materia. Le connessioni, quelle sì, sfrigolavano nella mia alta tensione. Da quando abbiamo rotto il mondo, non ci sono più merci. Abbiamo approfittato del declino per inventare le declinazioni. Le declinazioni sono romantiche. Possono esprimere la funzione del nome o del pronome in una proposizione, il numero, il genere. Arrivano a svolgere funzioni sintattiche come quella di superare la necessità delle preposizioni. Chiamare un nome e sapere che contiene già di, con, per.
Il primo che parla non è il più forte, il più debole, il più bisognoso, il più impulsivo. Il primo che parla è il vento, l’ululato del vuoto che viene attraversato da singole unità di trasformazione.
Il cambiamento riguarda la donazione di organi, un espianto che non passa da un corpo a un altro. Gli organi vengono messi in comune, protetti dalle interferenze, disposti con la superficie rivolta al sole. Il dono è ininterrotto e ininterrompibile: ha a che fare con una presenza immodesta.
Questo territorio è sterminato.
Non è terribile che «sterminato» significhi allo stesso tempo infinito e annientato? L’enantiosemia è il gatto di Schrödinger della linguistica: finché non apri la scatola del contesto, il contenuto potrebbe essere qualcosa o il suo contrario. Dare una spolverata. Posso eliminare la polvere che si è formata sulla mia disattenzione oppure posso spargere lo zucchero a velo su un dolce. L’enantiosemia è una diversa forma di dolore perché forze opposte si contendono lo stesso corpo, ma ciò che noi possiamo percepire come la soglia penosa del margine si può superare impiegando lo stesso limite contro se stesso. Se il confine mi angoscia, non è per quello che c’è dall’altra parte, ma perché lì smetto di avere il dominio di me. Mi diranno che si tratta di un’eventualità patologica, ma io so che non è così. L’implicazione della perdita di controllo è già compresa in qualunque fragile linea intenda demarcarmi, che si tratti della mia pelle o della mia esperienza limitata ai fenomeni che prima ho incontrato e poi ho setacciato con la soggettività. La simbiosi, distruzione meticolosa spacciata come perfezione alla quale aspirare, non è che un gioco di potere votato all’annullamento delle differenze per arrivare all’insulsa omogeneità della superficie. A quel punto siamo la stessa cosa, sì, ma anche la stessa aberrazione. Allora cosa dovremmo fare? Dovremmo essere antagonisti per spirito sportivo o per affermare la produttività capitalista in una competitività da guerra fredda? È qui che l’enantiosemia cessa di essere tormento oppositivo e diventa cura attraverso tutto il prisma dei con-: convergente, congruente, concorde, consensuale.
L’altro non è soltanto in contrasto con me, leggermente scollato, un po’ in disaccordo: è addirittura all’opposto. Ed è proprio la grandiosità di questa opposizione dal sapore astrale a neutralizzarne l’aspetto nefasto, a levigarne l’asprezza con affetto immediato. Se fosse un disordine minimo, sarebbe un difetto, il filo tirato che piaga la maglia. Sarebbe quel quasi-uguale-ma-non-proprio-uguale ad arrecarci offesa. La presenza del senso antitetico, compiuto nell’esercizio del ruolo di perfetto antagonista delle favole, l’anti-eroe della mia narrazione, è esattamente ciò che mi permette di soffocare l’assoluto immobile, la pace inaccettabile.
Creare una configurazione affettiva enantiosemica. Possiamo avere una diversa percezione dei fenomeni in entrata, ma la magia investe il senso dell’equilibrio, tenendo due angoli diversi armoniosamente sotto lo stesso ombrello.
Se non so godere, grazie alla sapienza erotica, dei miei perimetri esistenziali, allora qualunque produzione del mondo che non sia strettamente me sarà insufficiente e mi spedirà nella segreta dell’autodistruzione, lasciandomici per sempre.
Il mondo che abbiamo rotto non funziona più come prima. Anche le sue disfunzioni precedenti all’evento sono diverse dalle disfunzioni di oggi. Prima erano statiche, tremendamente prevedibili, distruttive. Ora sono spie che si accendono per attirare l’attenzione non su loro stesse, ma su qualcos’altro. Pronte a deformarsi in un sorriso soccorrente, dalla fusione all’effusione, costruttive, ricostruttive, ricostituenti.
Non sono le cinghiate ad averci fortificato, non sono gli abbandoni ad averci reso indipendenti.
Siamo l’effetto della sapienza erotica nell’atto di superare anche l’erotismo.
Ciò che ne esce è una lingua-rifugio che torna all’atto di concepimento, che rimette noi all’origine e ce la restituisce integra, finalmente all’altezza del cuore.

Come sempre, i tuoi concetti aprono la via a molteplici pensieri, cavalcando un’onda che sa di profondità
A onor del vero, questi passi son stati scritti quasi integralmente da Viviana, il che vuol dire, tra le altre cose, che esistono molti punti di tangenza o di vero e proprio sconfinamento tra le nostre rispettive Weltanschauungen. Colgo l’occasione per indirizzarti un saluto molto affettuoso.
A questo punto direi di sì. C’è una notevole sovrapposizione tra voi due, molto bella questa cosa