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Biglietti a Francis Curel, Maquis, poesia francese, René Char, seconda guerra mondiale, Seuls demeurent, volontà di poesia
Qui di seguito, un testo di Char e due frammenti del mio commentario tratti dal volume: René Char, Comune presenza, Nautilus, 2025 (pp. 53-54, 55-56 e 59-60). Nella foto: il poeta insieme alla prima moglie, Georgette Goldstein (1935).

Il primo settembre 1939, la Wehrmacht invade la Polonia. Due giorni dopo, Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Germania. Char viene mobilitato e assegnato al 173o reggimento artiglieri di stanza a Nîmes, in Occitania, il quale sarà schierato in seguito nello scacchiere alsaziano, dove resta fino al maggio 1940. Davanti all’avanzata dei nazisti, Char lascia l’Alsazia con la sua colonna di rifornimento e assicura, durante la ritirata, il passaggio dello stretto ponte di Gien alla popolazione civile sotto i bombardamenti degli aerei tedeschi e italiani. Caduta Parigi, Hitler impone ai francesi un armistizio-diktat il 22 giugno. La Francia è divisa in due settori, con la zona Sud che viene amministrata dal governo collaborazionista di Vichy sotto la guida del generale Pétain. Char viene smobilitato il 26 giugno e in settembre torna a Isle-sur-la-Sorgue. Qui, tenuto sotto controllo dalla polizia pétainista in quanto elemento sovversivo, e dopo aver subìto una perquisizione domiciliare il 20 novembre, decide di trovare rifugio a Céreste per scampare a un probabile arresto. Nel piccolo borgo della Provenza alpina, a partire soprattutto dai primi del 1941, il poeta inizia a tessere rapporti con gli oppositori locali del regime.
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Biglietti a Francis Curel
[OC, pp. 632-633. Testo incluso in: Recherche de la base et du sommet, 1955.]
I
… Non desidero pubblicare in una rivista le poesie che t’invio. La raccolta da cui sono tratte, e alla quale lavoro nonostante le avversità, potrebbe avere per titolo Seuls demeurent. Ma, lo ripeto, resteranno a lungo inedite, finché non si sarà prodotto qualcosa che capovolgerà completamente l’innominabile situazione in cui siamo immersi. Le mie ragioni sono dettate in parte dall’incredibile e detestabile esibizionismo di cui danno prova, dal giugno del 1940, troppi tra quegli intellettuali il cui nome era un tempo preceduto o seguito da un prestigio benevolo, da una garanzia di solidità, allorché non era difficile prevedere la prova che sarebbe arrivata… Si può essere un esagitato, un depresso o un tipo moralmente instabile e tenere tuttavia al proprio onore! Dobbiamo farne l’elenco? Sarebbe troppo penoso.
Dopo il disastro, non ho avuto cuore di tornare a Parigi. A malapena riesco ad applicarmi qui, in una lontananza che ho scelto, ma che trovo ancora fin troppo vicina al viavai dei volti rassegnati a se stessi e alle cose. Certo, bisogna scrivere delle poesie, tracciare con inchiostro silenzioso il furore e i singhiozzi del nostro umore mortale, ma il tutto non deve limitarsi a questo. Sarebbe derisoriamente insufficiente.
Ti raccomando la prudenza, la distanza. Diffida delle formiche soddisfatte. Guàrdati da coloro che si dicono rassicurati, poiché son di quelli che scendono a patti. Non sempre è facile essere intelligenti e in silenzio, contenuti e in rivolta. Tu lo sai meglio di chiunque altro. Nel frattempo, guarda girare le ultime ruote sulla Sorgue. Misura la lunghezza canterina della loro schiuma. Calcola la resistenza sgangherata delle loro assi. Confìdati a bassa voce alle acque selvagge che amiamo. In tal modo, sarai preparato alla brutalità, alla nostra brutalità che comincia a manifestarsi audacemente. È la porta, mi chiedevi, della nostra oscura fine? No. Siamo nell’inconcepibile, ma con riferimenti abbaglianti.
1941
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Perché impigliarsi letterariamente in storie vane quando si può combattere o disertare la Storia degli asservimenti? Per quale motivo dovremmo trascinarci in una parola errante, priva della nostra fiducia, tiranna delle nostre esigenze più esuberanti, quando l’unicità emergente tra gli elementi del mondo ci parla e ci interpella eternamente?
Per impedire che il tempo svuotato di senso continui a parlare e a imporci la sua volontà di narrazione, non dobbiamo farci carico del negativo a qualunque costo, ma sormontare ogni possibile fissità della negazione in un movimento che distrugga l’inoperosità delle nostre opere. Uscire dalle dinamiche che arricchiscono il vuoto. Cercare la porosità delle idee nel rigore delle azioni. Scandagliare il decisivo e l’irrecuperabile in ogni territorio strappato alla sfiducia. Detto altrimenti, occorre entrare nel campo della poesia con la testardaggine di apprendisti pronti a sfidare l’ignoto, mettendo in crisi, se necessario, ogni acquisizione estetica o morale, e determinati comunque ad allargare quel campo (o a uscirne) con una cognizione più contrastata della bellezza, ossia con un rapporto maggiormente dinamico rispetto alle varie tonalità emozionali del vivere. Non si tratta però di costruire una carriera o un ruolo. La posta in gioco è molto più alta. Si tratta di restar fedeli alla propria concezione di una compiutezza possibile dell’esperienza umana, non disarmando o liquidando in àmbito culturale l’impatto letterale delle intenzioni. Solo così la poesia può diventare un mezzo d’intervento sul mondo senza limitarsi a un abbellimento di dettaglio, a un resoconto estetizzante dei rapporti materiali tra i viventi.