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Estratti da: René Char, Comune presenza, accompagnamento alla lettura di C. Mangone, Nautilus, 2025 (pp. 62-68). Nella foto: Char durante gli anni del Maquis.



I Fogli d’Hypnos, pubblicati nell’aprile del 1946, sono composti da 237 frammenti scritti nel biennio 1943-ʻ44, più una brevissima postilla (La rose de chêne) aggiunta a fine guerra. Si tratta di annotazioni brevi o addirittura aforistiche, prese da Char durante la lotta clandestina contro il nazifascismo, che preservano la parola poetica e la sfidano a rintracciarsi anche in frangenti così gravi e pericolosi. Non solo. I Feuillets costituiscono un testo emblematico, insuperato, perché dicono il prender parte alla lotta per la poesia possibile del mondo nel rigetto di ogni partito preso dell’impegno, e lo dicono tenendosi accanto all’ardimento, restando cioè sempre prossimi all’apertura, all’azione consapevole, alla critica che si trasforma in decisione poetica della lotta. Non sono un testo politico, ideologico. Non rappresentano una mera testimonianza della Resistenza, né vogliono farsi passare per un’opera al servizio della Rivoluzione. Char non era un rivoluzionario, non aveva nessuna simpatia per il marxismo. Si rivelava una sorta di anarchico senz’anarchismo, un insorto, un agitatore poetico che prendeva alla lettera Rimbaud ponendo la poesia in avanti, sempre più incuneata tra i gesti e i pensieri dell’uomo, intenta a ritmare l’azione, a non disconoscersi e a costruire un’etica senza pietà contro i nemici del bello e del vivente. Siamo quindi agli antipodi della poesia «resistenziale» nazional-popolare, bassamente lirica e schierata ideologicamente col partito comunista (o genuflessa ai piedi della croce), che andrà per la maggiore in quegli anni.
Quel che non può essere accettato, perché ci distoglie dall’immediato della nostre irripetibilità mortali, ci avvicina, ci rende partecipi a una lotta comune, e attrae reciprocamente i nostri pensieri altrimenti divisi. La nostra comunanza si ricostituisce allora intorno a ciò che sfugge a ogni poesia differita e ci riconsegna ai tentativi di compiutezza più felici, alla destrezza che non è distrazione e a una limpidezza di pensiero che non è mai neutralità. Il semplice si sostituisce al facile e noi, a partire dalla selezione acerrima che attuano memoria e ragion critica (compagne problematiche della bellezza), conserviamo particole dell’esperienza vissuta che tendono a rompere col fondale dell’indifferenziato.

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Fogli d’Hypnos

Queste note nulla devono all’amor proprio, alla notizia, alla massima o al romanzo. Anche un fuoco d’erba secca avrebbe potuto esserne l’editore. La vista del sangue torturato, una volta, ne ha fatto perdere il filo, ha ridotto a nulla la loro importanza. Furono scritte nella tensione, nella collera, nella paura, nell’emulazione, nel disgusto, nella scaltrezza, nel raccoglimento furtivo, nell’illusione del futuro, nell’amicizia, nell’amore. Il che vuol dire che gli eventi vi hanno inciso profondamente. In seguito, più spesso sorvolate che rilette.
Questo taccuino potrebbe non essere appartenuto a nessuno, tanto il senso della vita d’un uomo è soggiacente alle sue peregrinazioni e difficilmente separabile da un mimetismo talvolta allucinante. Simili inclinazioni furono nondimeno combattute.
Queste note segnano la resistenza di un umanesimo consapevole dei suoi doveri, discreto sulle sue virtù, desideroso di riservare l’
inaccessibile campo libero alla fantasia di ogni suo sole, e deciso a pagarne il prezzo.


4
Essere stoico, è raggelarsi, con gli occhi belli di Narciso. Abbiamo censito tutto il dolore che il boia avrebbe potuto prelevare da ogni lembo del nostro corpo; poi, col cuore in gola, ci siamo mossi e si è fatto fronte.

20
Penso all’esercito di fuggiaschi con appetiti dittatoriali che, in questo paese dalla memoria corta, coloro che scamperanno a un’epoca d’algebra dannata rivedranno forse al potere.

21
Avvenire amaro, amaro avvenire, ballo tra i rosai…

31
Scrivo in breve. Non mi riesce d’assentarmi per molto. Dilungarsi condurrebbe all’ossessione. L’adorazione dei pastori non serve più al pianeta.

32
Un uomo senza difetti è una montagna senza crepacci. Non m’interessa.
(Regola di rabdomante e d’inquieto).

37
Rivoluzione e controrivoluzione si mascherano per affrontarsi di nuovo.
Franchezza di breve durata! Al combattimento delle aquile segue la lotta delle piovre. Il genio dell’uomo, pensando d’aver scoperto le verità formali, accomoda le verità che uccidono in verità che autorizzano a uccidere. Parata dei grandi ispirati al contrario sul fronte dell’universo corazzato e palpitante! Mentre le nevrosi collettive si accusano nell’occhio dei miti e dei simboli, l’uomo psichico supplizia la vita senza che la cosa sembri costargli il minimo rimorso. Il fiore tracciato, il fiore schifoso rotea i petali neri nella carne folle del sole. Dove sei sorgente? Dove sei rimedio? Economia, cambierai alla fine?

54
Stelle del mese di maggio…
Ogni volta che levo gli occhi al cielo, la nausea mi spacca la mascella. Non sento più, dal fresco dei miei sotterranei, salire il gemito del piacere, sussurro di donna dischiusa. Una cenere di cactus preistorici fa volare il mio deserto in schegge! Non son più capace di morire…
Ciclone, ciclone, ciclone…

59
Se l’uomo a volte non chiudesse sovranamente gli occhi, finirebbe per non vedere più quel che merita d’essere guardato.

72
Agire da primitivo e prevedere da stratega.

100
Dobbiamo superare rabbia e disgusto, dobbiamo condividerli, in modo da elevare ed estendere la nostra azione come pure la nostra morale.

102
La memoria non agisce sul ricordo. Il ricordo non ha forza contro la memoria. La felicità non monta più.

104
Solo gli occhi sono ancora capaci di lanciare un grido.

165
Il frutto è cieco. A vedere, è l’albero.

169
La lucidità è la ferita più prossima al sole.

197
Aderire allo slancio. Non al festino, suo epilogo.

222
Mia volpe, appoggia la testa sulle mie ginocchia. Non sono felice, eppure tu mi basti. Candeliere o meteora, non vi è cuore pesante o avvenire sulla terra, non più. I gradini del crepuscolo rivelano il tuo mormorio, alloggio di menta e rosmarino, confidenza scambiata tra i rossori autunnali e la tua veste leggera. Tu sei l’anima della montagna dai fianchi profondi, con rocce silenti dietro labbra d’argilla. Che le ali del tuo naso fremano. Che la tua mano chiuda il sentiero e accosti la tenda degli alberi. Mia volpe, al cospetto dei due astri che sono il gelo e il vento, ripongo in te tutte le speranze franate per un cardo vittorioso sulla rapace solitudine.

237
Nelle nostre tenebre, non c’è per la Bellezza un posto. Tutto il posto è per la Bellezza.


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In un moto che potrebbe sembrare arbitrario, e che tuttavia ha origine dalla sterilità emozionale o dall’insipienza di pensiero riscontrabile in tanti poeti e intellettuali contemporanei, verrebbe da chiedersi se l’editore migliore della poesia non sia in fondo quel fuoco di stoppie evocato da Char nella nota introduttiva a Feuillets d’Hypnos.
L’idea stessa di poesia – il suo insinuarsi nel mondo derealizzato dei moderni per rovesciarne la prospettiva, per sconvolgerne i luoghi comuni – non è forse legata a doppio filo a un’idea di fuoco purificatore, di divampamento reale?