[Estratti da: René Char, Comune presenza, accompagnamento alla lettura di C. Mangone, Nautilus, 2025. Nella foto: Camus e Char a Isle-sur-la-Sorgue nel 1947.]
Maurice Blanchot scrive: «L’amicizia, questo rapporto senza dipendenza, non episodico e in cui entra nondimeno tutta la semplicità della vita, passa per il riconoscimento dell’estraneità comune che non ci consente di parlare dei nostri amici, ma soltanto di parlar loro, non di farne un argomento di conversazione (o di articoli), ma il movimento dell’intesa in cui, parlandoci, essi conservano, anche nella più grande familiarità, la distanza infinita, quella separazione fondamentale a partire dalla quale ciò che separa diviene rapporto» (L’Amitié, Gallimard, 1971, p. 328).
L’amicizia, dunque, è l’affetto senza scopo vincolante che trasforma la distanza in autonomia e l’unicità dei viventi in com-unicità. Trasformazione della dipendenza riflessa in appartenenza riflessiva. Spartizione del pane. Riconoscimento e riconoscenza del corrispondente (del compagno) in una dinamica colma di possibile e nient’affatto passibile d’egemonia.
Char e Camus saranno legati, fino alla tragica morte del secondo, avvenuta in un incidente stradale il 4 gennaio 1960, da un’amicizia a prova di qualsiasi intemperanza dell’epoca. Nell’intimità delle disillusioni, e di un affetto che si pone a viso aperto di fronte alle contraddizioni, ne è testimonianza illuminante il loro epistolario (Albert Camus, René Char, Correspondance 1946-1959, Gallimard, 2007): «Ci sono pochi uomini, oggi, di cui amo, al tempo stesso, il linguaggio e l’attitudine. Voi siete tra questi – il solo poeta, oggi, che abbia osato difendere la bellezza, dirla esplicitamente, provare che ci si può battere per essa e, al contempo, per il pane di tutti i giorni.» (Camus a Char, 30 giugno 1947); «In quest’erranza cui ci costringe la condizione umana, la nostra intesa, che non è un inutile ricamo, è per me una costante ricompensa.» (Char a Camus, maggio 1950); «La voglia di scrivere delle poesie non si compie che nella misura precisa in cui sono pensate e sentite attraverso dei rarissimi compagni.» (Char a Camus, settembre 1950); «Si tratta di tradurvi in linguaggio critico, non di replicarvi. Dopo tutto, voi siete la poesia. Voi siete la profezia.» (Camus a Char, 25 febbraio 1951); «Ho bisogno di una rivoluzione – di una qualche grande determinazione che mi separi davvero da tutto ciò che mi son ritagliato teoricamente.» (Camus a Char, 16 agosto 1952); «Essere legati nell’invisibile non è sufficiente» (Char a Camus, 28 febbraio 1954); «Più invecchio e più trovo che si possa vivere soltanto con gli esseri che vi rendono liberi, che vi amano con un affetto tanto leggero da portare, quanto forte da provare. La vita d’oggi è troppo dura, troppo amara, troppo anemica, perché si subisca delle nuove servitù da parte di chi si ama» (Camus a Char, 17 settembre 1957).
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René Char :: Di attimo in attimo
[Testi inclusi in: Le bâton de rosier, Gallimard, Parigi, 1983.].
Il quaderno di Hypnos fu nascosto nel luglio 1944, allorché partii per Algeri, nel muro interno di una casa semidiroccata a Céreste. Lo ritrovai al mio ritorno, e ne ho distrutto, per ragioni personali, gran parte delle pagine. Un solo foglio fu conservato a testimone.
L’opera apparve nel 1946 nella collezione Espoir, diretta da Albert Camus per conto di Gallimard. Alla nostra amicizia è legata la poesia «De moment en moment», scelta da Camus quando, percorrendo insieme la Vaucluse, mi chiese di aprire con essa La Posterité du soleil, un libro illustrato con fotografie di Henriette Grindat, che sarebbe apparso soltanto dopo la morte di Camus.
Perché questo sentiero anziché un altro? Dove porterà dal momento che ci sollecita così tanto? Quali alberi, quali amici vivono dietro l’orizzonte di queste pietre, nel lontano miracolo del caldo? Siamo giunti fin qui perché, dov’eravamo, non era più possibile stare. Venivamo tormentati e ci avrebbero asserviti. Il mondo dei nostri giorni è ostile ai Trasparenti. Una volta di più, bisognava partire… E questo sentiero, che somigliava a un lungo scheletro, ci ha condotti in un paese che aveva solo il proprio respiro per scalare il futuro. Come mostrare, senza tradirle, le cose semplici tracciate tra crepuscolo e cielo? In virtù della vita ostinata, nell’ansa del Tempo-artista, tra morte e bellezza.
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Albert Camus :: Taccuini
[Estratti da: Albert Camus, Carnets, tome II, janvier 1942-mars 1951, Gallimard, Parigi, 1964. N.B.: Calvi è un comune della Corsica.]
L’Isle-sur-Sorgue. Grande stanza aperta sull’autunno. Autunnale essa stessa, coi suoi mobili dalle contorte arborescenze e le foglie morte dei platani che scivolano nella stanza, spinte dal vento attraverso le finestre dai tendaggi pieni di felci ricamate.
Quando R.C. lascia il maquis nel maggio ’44 per raggiungere il Nord Africa, un aereo lascia le Basse Alpi e sorvola la Durance di notte. E in quel mentre, lungo i monti, egli scorge i fuochi accesi dai suoi uomini per salutarlo un’ultima volta.
A Calvi si addormenta (irruzione dei sogni). Il mattino si sveglia e vede una terrazza cosparsa di grossi mozziconi di sigarette americane. Dopo quattro anni di lotta e di denti serrati, le lacrime scorrono, ed egli piange per un’ora davanti ai mozziconi.
R.C. Su un treno durante l’occupazione, si leva il giorno. Tedeschi. Una donna lascia cadere una moneta d’oro. C. la copre col piede e gliela restituisce. La donna ringrazia. Gli offre una sigaretta. Lui accetta. Lei ne offre ai tedeschi. R.C.: «Ripensandoci, signora, le restituisco la sigaretta.» Un tedesco lo guarda. Galleria. Una mano stringe la sua. «Sono polacco.» Uscendo dal tunnel, R.C. guarda il tedesco. Ha gli occhi pieni di lacrime. Alla stazione, il tedesco, uscendo, si volta verso di lui e gli strizza l’occhio. C. risponde e sorride. «Bastardi», gli dice un francese che ha assistito alla scena.
Piccola baia prima di Tenès, ai piedi delle catene montuose. Semicerchio perfetto. Nella sera che scende, un senso pieno d’angoscia aleggia sulle acque silenziose. Si comprende allora che, se i Greci han formato l’idea di disperazione e di tragedia, è pur sempre attraverso la bellezza e ciò che ha di opprimente. È una tragedia che raggiunge il culmine. Invece lo spirito moderno ha costruito la sua disperazione partendo dalla bruttezza e dal mediocre.
Indubbiamente, è ciò che intende dire Char. Per i Greci, la bellezza è il punto di partenza. Per un europeo, essa è un obiettivo, raggiunto di rado. Io non sono moderno.
Amico di C.: «Moriamo a quarant’anni per una pallottola che ci siam tirata al cuore a vent’anni».
Char. Blocco calmo caduto quaggiù da un oscuro disastro.
