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abitare il movimento, collocazione, L'amore del possibile, la disciplina gentile, metodo, territorio, verità pratica
Proseguono le mie riflessioni. Addentriamoci poco alla volta nel “metodo”… La fotografia che accompagna il post è di Magdalena Russocka.
Costruire castelli di sabbia non ci salverà dal deserto che avanza, però ci permette di giocare a rimpiattino sia con l’ineluttabile, sia con le paure che fiaccano la nostra determinazione.
Il mio metodo – la disciplina gentile che sto assecondando poco alla volta all’interno della mia testa – si vuole come un castello di sabbia che ci porti a ridere anche del deserto.
Nel dominio reale del capitale, l’epoca delle rivoluzioni è irrimediabilmente tramontata. L’irrazionale s’insinua, diventa una nostalgia dell’impossibile. Ci sentiamo orfani di un’epica, sacerdoti del nulla che inseguono delle schegge di mito. La verità, intanto, si è fatta complicata e forse non è mai stata davvero rivoluzionaria. Bisogna prenderne atto e rilanciare la posta trasformando le regole del gioco.
Finora avevo indugiato per scarso rigore e anche per troppa poesia, sperando stupidamente che gli altri mi seguissero al di fuori del Libro. Errore banalissimo, oltremodo prevedibile, e che non commetterò più. In pochi sono arrivati a manifestare realmente un desiderio di avvicinamento, di abbattimento concreto delle distanze tra autore e fruitore. Quasi sempre si trattava di donne e quasi sempre era in gioco il sesso, la seduzione, una qualche aspettativa «sentimentale». È stato bello, certo, non dico di no, ma oggi me ne rimane come un senso di parzialità, di manchevolezza. Volevo il mare e mi sono accontentato di un laghetto, di un bidet. Il fiume non ha raggiunto la foce, non ancora. A questo punto occorre però un netto cambiamento di prospettiva, un cambiamento epocale, perché la mia poesia si è dimostrata fin qui un crivello, un vaglio, quindi per niente adatta a portare l’acqua.
Mi chiedo intanto se un metodo abbia bisogno necessariamente di una misura, se una misura debba diventare cioè una necessità e se questa stessa misura non possa tornare ad essere il passo dei raccoglitori-cacciatori, la loro falcata lungo la savana, la steppa, o non piuttosto la distanza intercorrente tra me e te nella costruzione di un noi o quella, già di carattere più prettamente «tecnologico», tra la punta della freccia e il bersaglio che si ha in mente.
Si può avere senz’altro uno spazio senza confini, pensabile logicamente e astronomicamente senza limiti, ma è del tutto inconcepibile un ambiente vitale che non abbia bisogno di una misura e, soprattutto, di una memoria delle misurazioni.
Noi umani ci misuriamo dentro lo spazio, misuriamo il nostro pensiero e le nostre capacità di vita muovendoci. Senza misura, i nostri movimenti non avrebbero alcuna efficacia. Ogni animale calibra, di volta in volta, la propria collocazione all’interno del territorio di riferimento, ossia del proprio spazio vitale, come pure l’ampiezza, la forza e l’incisività dei gesti e degli spostamenti nell’organizzazione della propria presenza al mondo.
Il territorio di un animale, in realtà, è già il frutto di una misura, di una delimitazione legata alla potenza (singolare e di gruppo) di quello stesso animale, e questo discorso vale, ovviamente, anche per i membri del genere Homo.
Ciò detto, appare incontrovertibile l’importanza che hanno la collocazione e la postura del proprio corpo, come pure della propria riflessività, dentro lo spazio in cui andiamo a ritagliarci una presenza, una costanza «biologica».
In una situazione perennemente prospettica, dove la vita è incessante dinamica ricombinante e il pensiero è sutura delle mancanze, la collocazione migliore del proprio corpo e del proprio pensiero è sempre legata a una osservazione corretta e fiduciosa del proprio territorio. Il calarsi nella cosiddetta realtà e il vedersi (il sapersi) calati in modo appropriato nel gioco del reale, sono movimenti inestricabili del vivente. La visione del mondo non è semplicemente il mondo che vediamo nel mettere a fuoco i nostri propositi, ma è anche, in maniera decisiva, il mondo che può vederci protagonisti o comprimari. A noi la scelta, a noi il saper intravedere il possibile migliore (anche per gli altri) in modo da concretizzarlo sentendoci parte attiva del nostro mondo.
Laureana Cilento, luglio-agosto 2025 (continua – 6).
