Tag
(s)ragione, alterità, attraversamenti, com-unicità, critica dell'amore, oltre non è mai altrove, prendersi cura della poesia, soglia, Tim Walker
Continuano le mie riflessioni su relazioni, affetto, com-unicità, ecc. Per leggere eventualmente le “puntate precedenti” basta scorrere i miei ultimi dieci post. La foto è di Tim Walker. P.S.: ben vengano critiche, obiezioni, suggestioni, ecc. Grazie!
L’Altro, questo cavallo di Troia che la materia viva del cosmo cerca d’introdurre costantemente nella nostra stanza dei giochi, questo portatore di criticità, di domande, ma anche di evenienze, di ulteriorità, è sempre un abitante del limine, di quello spazio che resta diaframma interlocutorio, ma anche sospensione potenziale del limite.
La soglia, in realtà, in quella realtà che sa farsi filo d’erba tra gli interstizi del divenire, già intercetta la prossimità, l’adiacenza. Intercetta cioè la disposizione agli avvicinamenti, alla tangenza, e predispone noi e l’Altro agli attraversamenti, all’interazione benigna delle rispettive potenze.
Riconoscere la soglia è riconoscere l’evento, il possibile, la disappropriazione dei vuoti di senso.
Anziché l’impossibile abbandono di un mondo del quale siamo pur sempre una parte inerente, bisogna imparare a disappropriarsi del superfluo approvando una distanza che non riduca il condivisibile e che, parimenti, non ci distragga dai moti reciproci di prossimità tra noi e l’Altro.
Deframmentare i punti di contatto tra l’interiorità e il fuori. Muoversi e commuoversi tra, verso, attraverso. Costruire un’amicizia col fuori che non sia una semplice tangenza casuale, funzionale. Eliminare tuttavia il superfluo, l’accessorio, che è quasi sempre il banalizzante, il moralistico, e quasi mai l’impertinente dolore di quel tentativo che prova a destituire la distanza.
Abbiamo tentato. Ritenteremo. In tutto ciò, l’unica regola davvero accettabile è quella con cui posso giocare (anche a perdere) sviluppando contemporaneamente le mie responsabilità nei riguardi di tutti coloro cui voglio bene.
– Non ho mai scavato dentro la morte, non ho mai provato la vergogna dei falliti. Mi piacciono il nero e la notte perché ritengo che la poesia non debba mai andare in bianco. Le carezze mancate, i biscotti sbriciolati, gli uccellini caduti dal nido e lasciati lì a morire come grumi di silenzio… La vergogna, ogni volta, è un uomo falso che abita una morte vera.
L’insoddisfazione, intanto, lascia emergere delle domande insidiose, sornione, ma nient’affatto campate in aria. M’interrogo sull’andare, sulle soste. Preparo diversioni, inversioni. Le strade già battute non possono essere le compagne di viaggio del mio battito.
Quindi mi chiedo: per andare incontro all’Altro devo forse mantenermi «ragionevole», accettare almeno in parte le sue ragioni, farmi fautore della ragione socialmente vidimata che abbiamo in comune, o non piuttosto operare uno squarcio emozionale ed emozionante nel vivo della relazione attraverso uno costruzione «toccante» dell’intesa?
La ragione ci serve essenzialmente per trovare delle giustificazioni, per legittimare il nostro consenso nei confronti d’un mondo che ostacola le nostre passioni più accese. Ci andiamo ripetendo che l’«a poco a poco» e il giudizioso sono pur sempre meglio di un tumulto emozionale, e finiamo per credere che una voluttà incontrollata ci causerebbe soltanto problemi.
In verità, a ben vedere, la salute di una relazione consiste anzitutto nell’assenza di subordinazioni tra le parti che si accordino consapevolmente, reciprocamente, e non certo nell’acquietamento delle loro pulsioni più spinte.
Il nemico principale della passione, da sempre, è il voler subordinare alla durata ogni nostra relazione affettiva. Anziché onorare quest’ultima in una continua problematizzazione dell’affetto, preferiamo conservarne i tratti rassicuranti in un pensiero «domestico», addomesticato, e in pratiche congiuntamente abitudinarie.
La passione non è mai cieca, o almeno non completamente, e ci consente di vedere quel che la ragione e il buonsenso ci nascondono sistematicamente dietro il velo delle convenienze.
Se razionalizziamo senza posa una determinata relazione, è perché ne abbiamo timore, paura; perché temiamo che possa destabilizzarci dolorosamente, mentre in realtà, facendo il tifo per una stabilità ideale, non facciamo altro che destabilizzare l’Altro inibendo inevitabilmente l’elemento poetico e panico che si cela in noi.
Detto questo, io credo di poter curare le mie relazioni costruendo dell’inusitato insieme all’Altro, e non certo col fissarmi unicamente su ciò che è già cristallizzato in me e che deriva confusamente da un passato che idealizzo o stigmatizzo funzionalmente.
Un tempo, se qualcosa non mi piaceva, erigevo barriere, facevo valere il mio giudizio trasformandolo in valore, diventavo aggressivo, mi nascondevo dietro i miei limiti giustificandoli con un passato di sofferenze più o meno «mitico». Unica vera soluzione, a quel punto, è stata l’innesco di una critica affettuosa, rispettosa, dirimente. Solo così mi son reso conto che le mie parole d’amore avevano perso ormai ogni mordente, ogni delicatezza, e che, per sommo paradosso, erano giunte addirittura a legittimare, in modo controproducente e alquanto patetico, le mie stesse escandescenze, la mia rabbia, i miei split.
C’è poco da fare. Quando il nostro sguardo sul mondo diventa pregiudizio, non facciamo altro che adagiarci in consolatorie contraffazioni della realtà allontanandoci da quell’intesa che vorremmo costruire e dispiegare.
– Mi approvo serenamente con un giudizio che può venirmi soltanto dai libri amici, dal prossimo entusiasmo e da tutte le pietre che ho scansato lungo il cammino. Dovrei incatramare la mia idea dell’amore e lasciarla alla disapprovazione del sole. Ho pensato troppo. Ho pensato troppo agli altri. Il dolore non è altrimenti.
Laureana Cilento, 10-11 agosto 2025 (continua – 9).

…come sempre sei fonte di riflessione, in un calderone di percezioni che tempestano la mia consapevolezza e ne esaltano i contorni cognitivi…
Tu sedimenti in me
Non si torna mai immuni dal confronto reale coi nostri limiti. Ogni tanto bisogna fare la cernita di ciò che ci portiamo dietro e buttar via un bel po’ di zavorra sentimentale, concettuale. Poi, ed è quasi inutile sottolinearlo, si diventa degli amici intimi del vento.
È crescere, my friend 🖤