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Sapienza è distinguere un granello di sabbia tra i miliardi esistenti, facendo in modo che esso diventi il destino di tutte le rive del mondo.
Nell’impietoso flusso del divenire, nell’anarchica intermittenza della compiutezza, dobbiamo dimorare anche nel più infimo. La poesia è data solo come contrasto, come rilancio. Non è mai stata compromesso, acquiescenza o disprezzo per le sconfitte dell’amore.

Ogni uomo ha sempre sott’occhio le proprie ferite, le proprie lacerazioni. Le medica. Usa unguenti. Esamina le colpe. Coltiva il giudizio. Ma se vuole davvero sanarle, farle cicatrizzare in modo corretto, dovrà cessare a un certo punto di spiegarsene la provenienza, l’originaria radicazione.
Per quanto mi concerne, a partire dall’adolescenza, ho cercato di farmi piacere l’amore che non ho avuto da piccolo. L’ho idealizzato, quest’amore. L’ho perseguito quasi ottusamente. Al tempo stesso, venivo affatturato dai miei stessi tentativi d’intransigenza, dalle dinamiche personali di una negazione ben poco dialettica, la quale agiva in me continuamente affinché non mi sentissi in difetto rispetto al mio desiderio di autonomia e, parimenti, per neutralizzare le colpe di una madre distante e di un padre violento distribuendole indiscriminatamente anche tra coloro che si allontanassero di molto dai miei riferimenti familiari e malati.

Bisogna sopravvivere alle ferite che abbiamo amato. Gli aggiustamenti simbolici possono funzionare finché non prendiamo coscienza di quanta devastazione si portino dietro. Le mimesi familiari vanno individuate e sormontate. Anche quando comprendessimo l’origine delle cose, resterebbe pur sempre tutto il resto del mondo. Occupiamoci del mondo. Andiamo verso il mondo.

I passaggi da tentare per ridiventare attori delle proprie trasformazioni sono semplici, ardui: a) mettere a nudo le costanti del proprio malessere, nonché i loro tempi, il loro raggio d’azione, smettendo di coprirne i vuoti con soluzioni già andate a vuoto o, ancor peggio, con scelte che tendano a cristallizzare la nostra visione dell’esistente; praticare delle rotture improvvise; esercitare una critica surrealista; sperimentare l’inconsueto, l’inconsulto; b) passare da un impianto prettamente difensivo del proprio pensiero a un’organizzazione prospettica e dinamica delle riflessioni e delle intenzioni; la difesa a oltranza logora, l’attacco può essere controproducente, solo le esplorazioni fuori dal seminato possono affinare la nostra percezione del possibile e prepararci a nuovi attraversamenti; c) farla finita con la staticità di pensiero, le abitudini di comportamento e le continue riduzioni del proprio desiderio a mero desiderio della necessità; amare qualcuno o qualcosa non significa votarsi a un desiderio che diventi strumento per reiterare un’idea d’eterno mai pervenuto; il desiderio scommette sulla vita, non sull’immortalità, gioca con le vibrazioni locali del divenire, non con l’infinito.

Prima che si passi il segno. Alcune banalità.
Il linguaggio è un insieme di segni che si usa per comunicare, per trasmettere informazioni sull’esistente, sul possibile e anche sull’intangibile.
Se io uso un linguaggio, che è sempre costruzione storica, stratificazione di segni comunitari, sociali, ciò vuol dire che io comunico qualcosa a qualcuno. E anche quando io non lo volessi intenzionalmente, o quando non delineassi chiaramente il mio intento, il mio pensiero, né il destinatario della mia comunicazione, metterei comunque in circolo delle informazioni. In tal caso, starei comunicando all’eventuale, aprirei le porte all’esperienziale.
In me, discorre quindi sempre il possibile, vale a dire la relazione con l’Altro, col fuori, con ciò che si è sedimentato nel linguaggio e che mi riporta costantemente verso l’Altro, verso l’ulteriore.
Il segno è un oggetto che rappresenta un altro oggetto. Parliamo di un elemento oggettivamente riconosciuto come rappresentazione determinata di qualcuno o qualcosa. Beninteso, il segno può essere elemento di un’espressione linguistica, ma non necessariamente. Una lingua è parte del linguaggio, è un codice semiotico specifico, ma non esaurisce certamente i campi del linguaggio. Quest’ultimo viene prodotto e modificato dalle relazioni materiali degli esseri umani. A sua volta, in connessione simbiotica con le dinamiche immaginifiche, creative e previsionali del pensiero simbolico, tende ad allargare e a definire il reale. In altri termini, il reale produce il linguaggio, ma il linguaggio può intervenire retroattivamente sul reale. Usiamo le convenzioni semiotiche, linguistiche, per poter capire meglio il reale, laddove l’esistenza di tali convenzioni è già frutto di una comprensione del reale.
La produzione umana del reale tende a uniformare, categorizzare, determinare funzionalmente il prodotto delle relazioni sociali. Ciò si riflette anche sul linguaggio, il quale non fa altro che rafforzare le tendenze all’uniformazione e al controllo del comunicabile definendo le regole e delimitando il territorio della comunicazione.

Scriviamo per fare della vita un’opera e non soltanto (non banalmente) per lasciare un’opera che sia un calco parziale della vita.
Nelle questioni di linguaggio, nessuno ha ragione in assoluto.
La poesia è l’irruzione dell’ingovernabile nella realtà quotidiana di un uomo che non si è mai abituato alle parole.

Laureana Cilento, 17-21 agosto (continua – 11). Le illustrazioni (altrettanti ritratti del Mangone eseguiti nel 2014) sono di Alfonso Nacchia. Se non fosse morto nell’agosto 2017 in un incidente stradale, Alfonso avrebbe compiuto oggi cinquantasette anni.