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Anita Dadà, Antonio Maria Fantetti, com-unicità, erotismo, Katia Chausheva, Nobuyoshi Araki, storia dell'erotismo
Ritenendo che l’erotismo sia stato e continui ad essere la mia oasi di compiutezza, ossia il territorio relazionale in cui esprimo al meglio la mia capacità di affetto, mi chiedo legittimamente se io non possa ancora erotizzare, almeno in parte, anche il resto della mia vita, così da renderla meno contraddittoria e più ricca di gentilezza sensuale.
Certo, mi rendo conto che appaia triste dover considerare la tenerezza alla stregua di una conquista, di una linea programmatica, ma la vita di tutti i giorni, in seno alla cosiddetta civiltà, non è mai stata ciò che si dice un prato fiorito. D’altra parte, occorre pur darsi gli strumenti giusti per seminare, raccogliere, far lievitare il desiderio, governare il fuoco, limitare al minimo gli urti contro gli spigoli del destino.
Per quanto mi concerne, il problema essenziale non risiede però nel voler colmare delle lacune, delle mancanze, o nel rintracciare l’altra metà di una mela più o meno mitica, bensì nell’urgenza (anzi, dovrei dire: nella necessità) di gestire un’esuberanza, una densità, un sovrappiù di desiderio, parole, senso. Non ho mai cercato infatti l’Altro per sentirmi completo, per ripristinare un’unità perduta, agognata. L’Altro era sempre una scoperta, una possibilità ulteriore, non un territorio da occupare, né una stampella che dovesse sorreggermi per andare chissà dove.
Partendo dalla coscienza della mia unicità, ho sempre desiderato innamorarmi di altre singolarità, di altri destini, ma ogni volta con l’intenzione di creare una com-unicità, una comunanza che unisse cuori, poesia, intransigenza, e che trasformasse la mia “pienezza” (la mia unicità) in una compiutezza immediata, memorabile, ripetibile, traendone così un senso da poter infine comunicare e condividere.
Erotizzare il mondo vuol dire concatenarne gli elementi a partire dalla dissipazione, dall’esultanza dei corpi, senza che per questo si giunga ad asservire al proprio godimento se stessi e gli altri. Eros è invasamento, non invasione; significa accorpare la gioia, esultare insieme, e non separare o possedere l’Altro per garantirsi l’obliterazione del proprio desiderio.
Il pensiero erotico dominante, in quanto pensiero erettile, produttivistico, vede nel sesso una catena di montaggio del piacere e non un’esperienza possibile del saper vivere. Si preoccupa della foce, dell’epilogo, e non celebra le fonti, non si bea della corrente. Finisce per bagnarsi mille volte nello stesso fiume limitandosi a variare democraticamente un copione da B-movie. Inonda sì la scena e i discorsi del contemporaneo, ma non lascia alcun limo benefico dietro di sé. Il saper accogliere è interdetto. La trivialità diviene lo stile delle relazioni. Per intanto, l’affetto autentico opera ormai quasi in clandestinità e la poesia residuale non fa altro che abbellire stancamente gli intervalli tra un orgasmo e l’altro.
Laureana Cilento, 21-22 giugno MMXX (stralci da un saggio in divenire). Foto, dall’alto in basso, di: Anita Dadà; Nobuyoshi Araki; Antonio Maria Fantetti.