In tempi grami è bene avere le idee chiare. Occorre trovarsi. Ma per trovarsi bisogna cercarsi. La prima cosa da fare è quindi cominciare a cercare sulla base delle affinità leggibili attraverso le righe, perché non è il caso di parlare di programmi, progetti, punti o altre faccende del genere.
Sappiamo che queste affinità esistono. Ebbene, facciamole venire fuori, alla luce del sole. Non condanniamole alle beghe di corridoio. Mettiamo a tacere, una volta per tutte, chi tra noi, per un mal compreso purismo alimenta inutili tempeste in un bicchiere d’acqua, per poi essere pronto a stornare le intenzioni di chi vuole agire al momento opportuno, dichiarandosi non d’accordo e in perenne attesa di un segno dei cieli.
(…)
Ma una vaga affinità non basta. Si può essere affini con alcuni compagni e vedere come gli interessi di questi ultimi vengono polarizzati da altre cose: dal proprio lavoro, dalla propria situazione familiare, dai propri gusti e bizzosità personali, dal proprio estetismo o dal proprio scetticismo. Tutta l’affinità del mondo finisce per annegare davanti a questi affievolimenti che snaturano l’individuo e lo pongono in balia degli avvenimenti di ogni giorno.
È tempo di dire che non possiamo più andare in cerca di splendide individualità da tirare fuori dalla merda. Come non possiamo, a uso e consumo del singolo, assumere atteggiamenti più o meno simpatici per riuscire meno sgraditi alla sua riluttante volontà di coinvolgimento.
L’affinità va cercata sulla base delle idee, delle azioni e dei progetti personali a breve e medio termine. Non è sufficiente un accomodante gesto di simpatia, o la sottintesa complicità su alcune prese di posizione. Ci vogliono fatti, idee, contributi chiari. In caso contrario ognuno è bene che vada per la propria strada.
In questo senso è possibile parlare dello specifico rivoluzionario. Un pugno di uomini, non un’accozzaglia di orecchianti della rivoluzione. Un minimo di decisione e non sempre l’incertezza e il piangersi addosso. Francamente di lacrime, commiserazioni e diatribe di quartiere ne abbiamo fin sopra i capelli.
Ciò non toglie che molti compagni possono avere livelli diversi di affinità e intendere la loro partecipazione alla lotta nei limiti, precisi e dettagliati, di questa loro situazione. Se ciò è chiaro fin dall’inizio nessuno può avere sorprese se non positive, quali, a esempio, il superamento di quei limiti iniziali e non un passo indietro (quanto mai pericoloso) nei confronti di iperboliche prese di posizione iniziali, massimaliste e del tutto campate in aria.
Incontrarsi, mettersi d’accordo. Decidere un progetto insieme. Non definitivo e irrevocabile, ma progressivo e adattabile al modificarsi delle situazioni. Cominciare da qualche punto, ma avendo una visione complessiva quanto più ampia possibile. Evitare di partire dalla denuncia di torti subiti o dalla recriminazione di passate possibilità non sapute sfruttare. La gente non ama sentire parlare di sconfitte, persecuzioni e minoranze afflitte. Raccoglieremmo sempre l’attenzione e la benevolenza pelosa di una ristretta cerchia di benpensanti che si fanno gli affari propri mettendo facilmente a tacere la propria coscienza.
Torniamo alla lotta aperta. Nel campo del lavoro, nei problemi della casa e dei quartieri, nei problemi dei servizi, nella scuola, nelle carceri, nelle caserme e dovunque dilaga la separatezza sociale.
Torniamo adesso con un minimo progetto, anche circoscritto e risibile (per alcuni che si sognano le grandi campagne controinformative che lasciano tutto come prima), ma torniamo alle cose concrete.
Limitiamo il momento controinformativo, condensandolo e circoscrivendolo nel contenuto e nello spazio. Proponiamo una struttura organizzativa e uno sbocco di azione, avendo cura che nella prima e nel secondo ci siano i nostri contenuti: autonomia organizzativa, conflittualità permanente, occupazione o esproprio o presa in carico di quanto non ci appartiene legalmente ma è nostro socialmente. Prepariamo anche la difesa di questa lotta, diamoci i mezzi per portarla avanti, di ogni genere (non esistono momenti particolari che rendono inadatti alcuni mezzi, chi ragiona così è un reazionario che si dà arie non sue).
Prepariamo la prossima insurrezione.
* * *
Estratto da: Alfredo M. Bonanno, Dissonanze, Edizioni Anarchimo, Trieste 2015, 2a ediz., pp. 503-505. Il titolo è mio. Illustrazione di Roland Topor.