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[ Passi tratti dal mio: Qui la vita, qui gioisci, Ab imis, 2024. Fotografie: Lina Scheynius ]

Tra le pagine de’ La filosofia nel boudoir di Sade, c’è un’affermazione che m’induce a rimarcare e a criticare il pensiero che mi è stato trasmesso da famiglia, società patriarcale e idee rivoluzionarie “virili”. Il Divin Marchese mette in bocca al libertino Dolmancé una frase illuminante: «Non esiste uomo che non voglia esser despota quando gli si rizza» [1]. Il cazzo eretto, dunque, si rivela per quel che è, ossia l’equivalente generale dell’eroismo maschile socialmente valorizzato, il fondamento verticistico dell’autorità, la cartina di tornasole del desiderio che sopravanza (non solo simbolicamente) l’affetto e la comunanza tra i viventi.
Ecco. Qui c’è un nodo di sangue essenziale. Nell’evidenza del desiderio maschile, infatti, si riafferma continuamente l’irriducibile differenza tra potere e potenza. La tumescenza sessuale (il discorso vale per il sesso maschile, ma anche per la clitoride) può essere testimone e legittimazione egoistica del potere, oppure, al contrario, senza mezzi termini, farsi apertura verso la significanza ingovernabile di un concatenamento orizzontale tra potenze diversamente uniche.

L’idea di possesso è un’idea maschile. Un’idea colonizzatrice, pervertitrice, che ha generato l’orrore umano della proprietà privata, ossia di un territorio (fisico e mentale) degenerato in chiusura valorizzata, esclusiva.
In realtà, non si possiede alcunché. Si possiede forse il denaro, le idee, una donna? No, affatto, se non nelle dinamiche di una dipendenza in cui anche i possessori sono posseduti (e soggiogati) dai valori che credono di detenere, di governare.
Il possesso è un pervertimento dell’appartenenza, un mascheramento delle proprie dipendenze; è la dinamica umana (maschile) che crede di irreggimentare le appartenenze e i concatenamenti di un universo che, in realtà, è sommamente irriducibile e ironicamente quantistico.

Il problema autentico, in realtà, non è possedere sessualmente il tuo corpo. Il problema vero è credere che possedere il tuo corpo possa com-prenderti legittimando la tua e la nostra unicità a partire soprattutto dalla mia comprensione.
Il possesso nasce dalla volontà di occupare le mie mancanze attraverso la coartazione della tua presenza dentro di esse, dentro il mio mondo insufficiente. Il poeta Henri Michaux si sbagliava: l’amore non è un’occupazione dello spazio [2]. L’amore, se mai, è un attraversamento di tutti gli spazi, di tutti i mondi che possiamo generare in comune (nelle nostre menti, nei nostri corpi) contro l’affermazione autoritaria di un mondo univoco, unitario e infinitamente consumabile.

Nell’arco della storia umana, è esistita, e permane tuttora, una molteplicità di concatenamenti patriarcali. Nei fatti, se le dinamiche di riduzione del femminile sono storicamente una tendenza univoca, le loro modalità e le loro concretizzazioni restano innumerevoli.
Le subordinazioni storiche del femminile, in materia di relazioni, si rivelano un pervertimento del possibile, una tradizione maschile e autoritaria del già visto, del già amato, del già posseduto. Bloccano la sperimentazione. Irreggimentano la fantasia. Difendono il potere che si va incistando tra le coazioni del desiderio.

Per nostra fortuna, l’affetto e la sessualità contengono linee di fuga in ogni direzione. L’ambiente incide sulle eccitazioni e le eccitazioni modellano senza posa lo spazio, le incarnazioni. I corpi emergono continuamente dal fondale del possibile come grumi di materia affettiva. Maschio, femmina: sono idee storiche della densità emozionale umana. Il divenire insidia ogni convenzione, ogni regolamentazione degli affetti. L’unicità delle relazioni gioca contro le abitudini di pensiero. Si può fare l’amore con qualsiasi elemento del cosmo. Ogni corpo ha una sua capacità di poesia [3]. Bisogna tentare, farsi tentare. Le paure si fanno da parte a ogni tocco affettuoso. Non tutte le erezioni sono autoritarie. Non tutti i pensieri dell’uomo si rivelano erettili. Ciò che si chiama erotismo, dunque, è un insieme polimorfo di dinamiche amorose. Proprio per questo, occorre liberarsi degli ispessimenti culturali e morali venutisi a stratificare intorno al pensiero erotico. Anzi, per quanto possibile, bisogna liberarsi del pensiero erotico storicizzato in modo da far spazio a una vera e propria sapienza erotica, ossia a un’intelligenza affettuosa, toccante, capace di creare unioni di godimento tra i viventi, vale a dire comunità di scopo e di cuore in cui la finalità (il talento condiviso) sia un godimento che non istituisca dipendenze, subordinazioni, autorità.

NOTE

[1] D.A.F. de Sade, La Philosophie dans le boudoir, 1795, dialogo V: «Il n’est point d’homme qui ne veuille être despote quand il bande». Lo stesso Sade, poco oltre, in una nota a piè di pagina, tende a differenziare sbrigativamente ciò che egli chiama l’assurdo dispotismo politico dal lussurioso dispotismo delle passioni libertine, ma siffatta discriminazione appare speciosa e contraddice la visione solipsista e tendenzialmente “tirannica” della passione lussuriosa libertina per come emerge dalle pagine sadiane. Ponendoci in una prospettiva materialista, non possiamo non notare una contiguità e una dinamica “dialettica” tra i due dispotismi; una sorta di osmosi sociale tra i diversi dispositivi dispotici. Nella società maschilista occidentale, l’eventuale dispotismo erettile del maschio è sempre, almeno in parte, un dispotismo di carattere politico, anche quando non appaia direttamente o chiaramente avallato. Detto questo, viene da chiedersi quanto e come sia possibile, nell’àmbito della società tardo-patriarcale, far sì che l’erezione resti maschile senza diventare maschilista, in modo che il maschio possa sormontare gli schemi sociali della virilità (il vir) senza veder diminuita la propria potenza (la vis). Sul versante femminile, viceversa, sarebbe interessante poter valutare gli eventuali dispotismi erettili della clitoride e l’incidenza che essi hanno o potrebbero avere nella (mancata) critica di quelli fallici. Curiosità: in un’edizione italiana de’ La filosofia nel boudoir, la frase qui citata scompare come per incanto (cfr. Sade, Opere complete, volume III, Newton Compton, Roma, 1993, p. 160), eppure la lettera dell’originale pare oltremodo evidente.

[2] Henri Michaux, Passages, 1950 [19632], Gallimard, Paris, p. 23: «L’amour est une occupation de l’espace».

[3] La poesia è quell’insieme di interazioni, costruito e condiviso nel confronto storico con l’Altro, che riesce a infondere un senso di compiutezza a una determinata unicità vivente. La ricerca di compiutezza è il movimento autentico del senso, la dinamica reale e fondamentale del nostro desiderio di poesia. Questo desiderio inclusivo, questo rapporto d’amicizia tra noi e l’eventualità della poesia, è la dimensione tenera e accorata della potenza: la singolarità dell’entusiasmo, la po(e)tenza, i rapporti di forze che si trasformano in forza comune e condivisa dell’affetto.