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anarchia affettuosa, com-unicità, desiderare in comune, frattalità degli affetti, intelligenza artificiale?, po(e)tenza
[ Estratto da: Carmine Mangone, Qui la vita, qui gioisci, Ab imis, 2024. Foto presa dal web. ]

L’intelligenza dei civilizzati nasce per cautelarsi dall’alienazione naturale e per tenere a bada la morte. I suoi costrutti, rispetto alla base istintuale e primitiva dell’origine, sono sempre artificiosi, artificiali. L’intelligenza differenzia, differisce, e pone il cognitivo al di sopra dell’emozionale. Il pensiero costruisce simboli per salvare le relazioni, ma in ciò opera una frattura (una costanza della frattura) nei confronti della natura indecidibile del vivente. Il pensiero è sempre frattivo. Scompone la natura delle contraddizioni e ne preserva unicamente il movimento che ci permetta di convertire il vivente in vivibile. Lavora per una salvezza, non per l’entusiasmo. Inventa valori, ossia relazioni morte e normative, per stabilizzare gli scambi e tramandare l’opera. In tal modo, la realtà delle relazioni viene condizionata da rappresentazioni astratte del reale. La determinazione della realtà viene dettata dall’idea del reale, vale a dire dal valore di scambio che diamo all’idea del reale, e anche il desiderio partecipa a questa degradazione del possibile allorché ci si limiti a circoscrivere gli accorpamenti del vivente dentro una logica binaria o dicotomica. La macchina binaria tende ad accoppiare: corpo con corpo, organo con organo, idea con idea. Il cerchio magico del binarismo è l’essenza della civiltà, della tecnica. Non se ne esce, se non a sprazzi, se non disertando l’esigenza di valorizzazione del pensiero simbolico. E qui entra in ballo la poesia, la po(e)tenza, la costruzione critica e poetica di un’anarchia affettuosa. Il pensiero, da frattivo, deve farsi frattale: sganciarsi dall’autorità dell’opera, dal già pensato, e acquisire una gratuità proliferante, gentile, ingovernabile. Bisogna reinventare insieme all’Altro un pensiero del godimento e renderlo diffuso, allettante; farlo diventare «l’inizio e il materiale da usare per una nuova storia, una storia del godimento dopo la storia del sacrificio, una storia non dell’uomo o dell’umanità, ma – mia», ma nostra. Il che non significa limitarsi all’estetico o tentare un salto dall’estetico all’estatico (con buona pace di Bataille). Il godimento affettuoso tende alla diffusione, alla critica del proprio movimento, a differenza del piacere sessuato che è sempre una localizzazione, una “monetizzazione” egoica degli affetti. Il godimento, in qualche modo, può essere visto come la ripetizione sempre diversa di una consonanza, di una confidenza, e proprio per questo, non stabilendosi in un’idea fissa della soddisfazione, finisce per contrapporsi all’eventuale traducibilità dell’affetto in valore di scambio e per fare dell’attimo (dell’esperienza) un segmento compiuto e memorabile del divenire.
Concepire una frattalità degli affetti vuol dire mettere in discussione la stessa idea storica dell’amore. Verrebbe a cadere, infatti, la pretesa moderna che l’amore sia quell’insieme di rapporti umani nel quale i prodotti del sentimento si scambiano per dare un valore sociale – una collocazione sensata, profittevole – al bisogno innato di empatia o ai desideri sessuali più o meno svincolati dalla procreazione.
Ogni giorno è una nuova origine. La notte passa. Il mio pensiero torna a vedere, a toccare. L’aurora non fallisce la presa. Mi denudo allora delle mie solitudini e ogni anima si rimette in luce.
(…) In un mondo caratterizzato a livello sociale dalla cautela, dalle passioni tristi e da un inasprimento sempre più marcato delle separazioni strumentali tra i viventi, soltanto una mutazione anarchica e gentile degli affetti può consentirci una sovversione delle alienazioni sentimentali, pornografiche, emotive.
Ciò che chiamo anarchia affettuosa è sia una teoria della decisione che non si perverte nel calcolo dell’utilità attesa, sia una prassi delle relazioni capace d’innescare comportamenti premurosi, inclusivi. La paura di vivere va risolta ricostruendo la fiducia e facendo di ogni relazione un ponte, non un argine.
Accogliendo una prospettiva inclusiva delle relazioni, l’anarchia affettuosa si sgancia dall’autogestione della negazione che è propria degli anarchismi storici. La ricerca di una padronanza politica della negazione deve cedere il passo a un desiderio rispettoso di affermazione in capo a tutte quelle unicità che si associno amorosamente malgrado le contraddizioni sociali o personali. Le stesse contraddizioni devono diventare un’opportunità di avvicinamento, di adiacenza, e non semplicemente un terreno di confronto culturale o di scontro sociale. L’affetto è un’apertura che vivifica e verifica la potenza della com-unicità. Se io ti voglio dentro il mio mondo, devo amare anche le tue linee di fuga, i tuoi affanni, le intemperanze della tua unicità. L’intesa non è fatta soltanto dalle convergenze, ma anche dai comuni disaccordi. La cura non esclude la differenza, purché quest’ultima, beninteso, non si trasformi in doppiezza o in tentazioni egotiche.
L’anarchia affettuosa presuppone la ricerca e la pratica di un’autonomia relazionale non subordinata a Stato e capitale. La si deve intendere pertanto come amore per l’unicità irriducibile dei viventi, come propensione ad amare il potenziale affettivo che viene a svilupparsi grazie all’unicità di chi accetti, insieme a noi, la bellezza possibile del divenire. Le sue dinamiche sono oltremodo chiare, semplici, benché sempre più sconvenienti agli occhi di coloro che preferiscano tutelare la propria miseria arricchita, la propria opulenza pornografica.
L’anarchia affettuosa è un affrancarsi dall’autorità delle abitudini emozionali, narcisiste, individualizzanti. È dunque una forma di mutuo accoglimento tra affetti non conformi alla norma sociale, nonché la coerenza ancora possibile tra emozioni, desiderio e pensiero critico in un determinato intreccio d’affetti fuori da ogni idealismo.
Ma l’anarchia affettuosa è soprattutto lo sviluppo di un’autonomia e di un potenziamento dei singoli nel loro stesso desiderare in comune; autonomia e potenziamento che li conducono, in modo conseguente, alla formazione di com-unicità amorose (di famiglie non biologiche) senza più “capibranco”, senza pensiero erettile, e grazie alle quali, ove non se ne faccia una valorizzazione del godimento egoistico o un godimento asservito ai valori sociali, si possono costruire delle alternative reali all’imperio del valore di scambio e alla mercificazione capitalista del desiderio.
ma è meraviglioso…
Grazie di cuore, Sandro. Peraltro, fra un paio di settimane al massimo, dovresti poter leggere ben altro. 😉
Non vedo l’ora 🖤
Prepàrati, perché son 125k battute!
Meraviglie ideologiche e della psiche