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[ Estratto da: Viviana Leveghi, Carmine Mangone, La materia dell’ulteriore. Elementi per una sapienza erotica, Delos Digital, 2024. L’ebook può essere acquistato sul Delos Store. ]

Nella tradizione cabalistica, la Torah orale veniva associata simbolicamente al principio femminile, mentre quella scritta restava attinente al principio maschile. Unire i due princìpi – la rivelazione trascendente e maschile di Dio (lo Ze’eir ‘Anpin) alla sua controparte epifanica e femminile (la Shekhinah) – era il segreto e il compito di tutti coloro che si dedicavano alla redazione delle scritture mistiche.
Nei fasci di luce proiettati dall’intelligenza, come pure nei coni d’ombra seminati dal dubbio, ciò che si definisce Natura – ossia il bacino comune a tutti i viventi, il diorama della vita e della morte, il divenire inesausto delle incarnazioni – viene vista come il regno dell’imperfezione e della perfettibilità, in quanto essa, agli occhi e sotto le mani degli eletti, non ha formato la purezza, ma soltanto la materia irredenta di tutti i suoi possibili; né tanto meno può mettere in opera ciò che l’idea della purezza ha deposto virtualmente nel divenire, perché ne viene impedita materialmente da ostacoli accidentali, contingenti, rimovibili.
La sostanza che andiamo cercando ha la medesima granularità, la medesima origine, di ciò da cui bisogna trarla. Questa omogeneità degli addensamenti materiali, carnali, numinosi, si rivela specifica, benché eternamente indeterminata e invariante, perché deriva senza posa dai corpi che emergono e si attraggono nel corso del divenire andandosi a ritagliare (criticamente, poeticamente) un loro campo d’intensità. Non è inoperosa o casuale, bensì attraente, comunizzante.
Una volta riconosciuta la propria consistenza, ogni corpo animato cerca una collocazione (e una soddisfazione) mirando a costruire l’incontro, l’intesa, la tangenza. I pensieri e le parole vengono lustrati nel flusso degli affetti per aderire compiutamente ai corpi. Ogni cosa del mondo cerca il suo umido e se ne lascia intridere per amare la sete di conoscenza. In un tale movimento, chiunque ignori i modi per creare e ricreare i corpi, ignora anche il modo per farli morire gioiosamente.

Tutte le cose del mondo temono il fuoco e credono ottusamente che il freddo possa coagularle senza più tormento. Niente di più nefasto. Soltanto la coscienza della corruzione permette una nuova germinazione. Soltanto l’ardimento e la reciprocità (ossia l’incontro, la co-evenienza, la com-unicità) permettono ai corpi di ricongiungersi armonicamente alla loro stessa presenza.
Così, nel nostro stabilirci dentro un’opera, che è sempre stata e sarà sempre un’opera corale, un amplesso gentile tra differenze e affinità, non vi può mai essere alcunché d’estraneo, se ciò che riceviamo, se ciò con cui facciamo corpo, ci permette di purificare il più possibile l’origine e la meta dei nostri movimenti.
All’interno e all’esterno dell’unione, il principio maschile e il principio femminile sono anzitutto delle manifestazioni entropiche della materia desiderante. Alcune forme li implicano e tendono a conservarne i presupposti, i pregiudizi. Pur tuttavia, in un movimento sapienziale degli affetti e delle intenzioni, occorre far propria l’evenienza di coltivarne le affinità, le simmetrie, le prossimità. Il carattere unico di qualsiasi ente singolare, senza una reale apertura di quest’ultimo verso la com-unicità, non ha alcun senso per un sapere che si vuole mobile e il più possibile aderente ai corpi che ne vengano attraversati.
Unire i due princìpi, dunque, ma non per smarrirli in una sintesi, in un improvvido desiderio fusionale. La meccanica del desiderio nasce dentro la condizione mortale dell’umano, ma non può ambire a uno stato d’indifferenza, a una ebetudine spacciata per una qualche beatitudine. La creazione è sempre l’esito di un movimento desiderante. Non occulta ipocritamente coloro che desiderano. Non diminuisce, sotto la sferza di una passione, ciò che si desidera. Dio ha dato un senso alla propria eternità quando l’ha resa conoscibile, quando ha desiderato che altri – le sue creature – entrassero nel divenire perenne del suo desiderio (e non del suo amore!).
L’eterno non è la morte della morte. L’eterno è la potenza dell’intempestivo che coagula la compiutezza dell’istante senza congelarla in un’idea fissa, senza limitarla divinamente a un solo corpo. È il desiderio che risponde alla più intima interrogazione del cosmo. Ascesi. Allenamento ai prodigi. Compimento dell’oltreumano. Ovverosia: esperienza di un accordo indecidibile e premuroso tra soffio e materia, voce e parola, conoscenza e gratitudine.
Per rendere praticabile una tale esperienza, occorre assemblare un sapere che accolga voluttuosamente l’unicità e la scabrosità dei viventi. Una sorta di teoria primaria del bene. Una com-unicità delle idee, dei concetti, delle responsabilità, nonché dei desideri e delle fantasie. Una sapienza, insomma, che si voglia e si faccia erotica, effusiva, mobile, illimitante.