a Viviana Leveghi, nel suo giorno di nascita
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Che cosa significa voler bene a qualcuno, a un altro, a un ben preciso vivente che emerge dal fondale di quest’eterno divenire di tutte le cose che ci trascina criticamente verso l’accoglimento del possibile? E che cos’è il bene? Di cosa si sostanzia? Come si rapporta con me, con quest’agglomerato di congetture date ormai per scontate e che costruiscono il mio Io sempre aperto e non ancora disperante?
Il termine «bene», così come quello di «bellezza», deriva dall’elemento proto-indoeuropeo *dew-, che è la medesima radice di parole come «dio», «divino», «devozione». L’etimo indoeuropeo aveva peraltro una connotazione dinamica. Implicava infatti un dare, un offrire, un comportare il divino, la luce, lo splendore, quindi una relazione tra elementi implicanti il bene, la bellezza, come pure una costruzione, una situazione edificante, una connessione mirante a un’illuminazione spirituale.
Non so se si nasce per un puro accidente – il caso è sempre l’avvento di una sorpresa, una sconfessione inopinata dell’aleatorio –, eppure so per certo che la vita va poi criticamente e affettuosamente inforcata, curvata, portata a termine senza mezzi termini.
Il bene è la condivisione affettuosa della mia precarietà, nonché di tutti quei miei slanci compassionevoli o erotici che accettano la mortalità del mio corpo, ma non l’arenamento della ricerca che esso tende a rilanciare senza posa insieme all’Altro.
Il bene è il tramite che non ti riduce alle mie contraddizioni, alle mie ferite. È lo stupore del primo uomo che provò a soffiare sul fuoco. Alleanza tra gli elementi. Vento e vampa che si rincorrono. Sollecitudine dell’ospite nel diradare il fumo e nel governare amabilmente il calore del forno.
In un istante che nessuno potrà mai smentire, anche una piccola goccia di rugiada si fa sorella del mare.
Scrivere è stabilire una presunzione d’incontro. Lasciar segni vuol dire cercarsi, concepire un territorio attrattivo. Ci si manifesta, anche incautamente, per approssimarsi a un volto riconoscibile e che non si limiti a specchiare le nostre apparenze.
Il bene è una pagina che non può essere lasciata in bianco, perché il saper vivere implica una lettura del mondo che si vuole incessantemente colma d’avvenire. La critica degli scollamenti non può restare illeggibile. Abbiamo bisogno di senso, di com-unicità, di armonia tra le voci. Il nostro stesso pensiero rimane pieno zeppo di nodi; proprio per questo, dobbiamo nutrirci d’incontri che sappiano scioglierci dalla necessità delle sue fatiche, dei suoi arcaismi.
Affidarsi all’altro. Creare il territorio per una fiducia reciproca. Rendere operante la comprensione e scoprire che l’eternità può stare tutta in un abbraccio. Propositi grazie ai quali la mappa è tracciata, i sentieri vengono ripuliti e si aprono via via dei nuovi camminamenti, delle nuove direttrici, dove ogni tappa dell’affetto si rivela uno spazio che ci interroga e ci riposiziona laboriosamente rispetto alla soddisfazione dell’intesa, poiché l’affetto, per come intendiamo viverlo, è il pensiero di quel bene che non può deludere il movimento: idea d’un territorio che dia dei contorni affettuosi finanche all’impensato, all’ignoto, all’impossibile, e che non divenga mai ostaggio dell’acquiescenza o di una smisuratezza inane.
Il bene non è mai facile, non è mai dato una volta per sempre. Ormai lo sappiamo e ce ne facciamo carico. Siamo destinati a restare sempre al di qua non solo di ciò che abbiamo amato, ma soprattutto di ciò che ci resta ancora da amare. Il nostro bisogno di affetto ci tiene allora dentro una costante ricerca del modo migliore (e sempre da migliorare) per risalire all’origine. La concezione del mondo va continuamente verificata, inverata, e solo una continua interrogazione delle fonti ravviva l’intesa. In un simile processo di affinamento delle presenze, l’origine è quel possibile che mantiene l’entusiasmo alla portata del nostro agire, del nostro pensarci, in un gentile e perenne disaccordo con ogni morte destituente.
A furia di costeggiare l’imponderabile,
la morte salta un corpo, due corpi,
e ci consente d’apparecchiare una
teoria di prodigi insieme ai polloni dell’olivo.
L’avresti mai detto?
L’evento è nudo,
la terra bagnata lo riveste,
la negazione che avevamo in bocca non lo disamora.
Soltanto chi ha interrogato ogni sogno dell’acqua
può accamparsi nel deserto.
Verrà il giorno in cui ce ne staremo seduti l’uno accanto all’altra mentre il sole andrà declinando ai margini di un mondo ancora riconoscibile e nondimeno irriconoscente.
Allora mi passerai il bicchiere e, a quel punto, tutto ciò che tra noi sarà stato «poesia» ci sorriderà, ancora e ancora, senza mai smettere di farlo neanche di fronte alla morte.
Lo so. Lo so che la vita rimane uno scherzo imperscrutabile della materia, ma noi saremo comunque orgogliosi, quel giorno, d’aver giocato a perdere con le stelle, con Dio, con le parole inconsulte degli eroi.
Sotto un cielo azzurro e pieno d’ali, si finisce per esser grati anche alle tempeste che furono. Senza di esse, non sarebbero mai sorti questi ponti tra la propria soddisfazione e la cura dell’Altro che stabiliscono il bene più attendibile, più autentico.
Volerci bene è un vivere in sovrappiù. E sta a noi ampliare e precisare con sempre migliore affetto questo sovrappiù di vita.
Laureana Cilento, aprile 2025. Le foto sono mie.



Buongiorno davvero un bellissimo articolo, complimenti le tue riflessioni volano ad alta quota e non ravvedo il pericolo di schiantarci al suolo perché l’amore, il bene, gli abbracci, la fiducia, l’accoglienza, l’incontro, la condivisione salvano e curano. Oggi, grazie a Flavio Almerighi, ho fatto una belle scoperta buona giornata.
Achille
Buongiorno a te, Achille, e benvenuto. Ti ringrazio di cuore per i complimenti. La scrittura è ormai una sorta di mia complice e amica da quasi quarant’anni, e sono sempre contento se riesco a trasmettere qualcosa a gli altri, a rendere “toccanti” le mie parole.
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Meravigliata, come sempre. Grata, più che mai.
Sarà che il 25 aprile scorso mia figlia ha dato alla luce la mia prima nipotina e sono molto sensibile a questo argomento. Chi non vorrebbe un simile regalo a ricordare la sua nascita? Ti ho rubato la poesia per il Domenicale del prossimo 4 maggio. E oggi mi è arirvato il tuo libro, ciao
Oooh, allora auguri al nonno novello! Vi auguro di tutto cuore ogni bellezza.
Ruba pure. Tu puoi tutte le volte che vuoi, anche senza chiedermelo.
Spero che il “mio” Char possa lasciarti qualcosa- Il finale del mio commentario può sembrare pessimista, ma non lo è affatto. Spero comunque di avere il tempo e la voglia di tornarci su ampiamente in un mio prossimo testo. (Ma la voglia comincia a declinare, devo ammetterlo.)
È sempre una esperienza leggerti. E auguri, alla festeggiata 🥂
Grazie, Sandro. Cerco di non perdere la cara e sana abitudine di piegare le parole (tutte le parole) ai miei entusiasmi residuali, ma non so per quanto ancòra vorrò insistere. Tende a trapelare una discreta stanchezza e la voglia di nuovo. P.S.: porterò i tuoi auguri alla fanciulla non appena la sento.