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«Bisogna che io scriva in versi per distinguermi dagli altri uomi­ni? Che la carità si pronunci!», Isidore Ducasse [conte di Lautréamont], Poésies, II, 1870.


La pretesa di comunicare, se si rivela autentica, quando cioè non è mediata da strutture autoritarie o sterili masturbazioni nichiliste, pone sempre in essere un’esigenza di condivisione (non di semplice trasmissione del sapere), vale a dire una volontà di relazione che si esprime attraverso segni e codici il più aderenti possibile alla propria unicità e all’accoglimento dell’unicità altrui.
Quando ciò avviene, si crea un movimento di senso – e un senso del movimento – che genera e afferma un desiderio di poesia singolare e, allo stesso tempo, una dinamica “comunitaria” che ne condivide le sorti.
L’esigenza di comunicarsi si palesa in maniera quasi compiuta là dove assume forme e innesca pratiche partendo da un’idea di bellezza condivisibile ed espansiva (non in forme ideologicamente spettacolari o dialettiche: qui la trasgressione non m’interessa, così come non mi preme la Legge; parlatemi della regola, dei rituali, non della Legge) con il desiderio precipuo di situare, chi comunica l’esperienza che nasce da quell’idea di bellezza, nel flusso avvincente del suo mondo di relazioni [L’avverbio di modo “quasi” mi rimanda alla necessità di non demordere, di non abbandonare le pretese di condivisione, di unicità. Il “quasi” pone infatti la poesia del movimento come qualità di ciò che, senza posa, non si ferma mai al già detto, all’appena comunicato – perché nessuna struttura poetica può dirsi aperta se rende possibile la rovina della condivisione.].
Le pratiche poetiche testimoniano di fatto una continua (ri)apertura dell’opera – e mai un suo compimento. L’opera si apre al mondo, e al confronto con l’impossibile, restando indisponibile a subordinarsi alla necessità dell’adempimento: parentesi che non può essere chiusa; puntini sospensivi che sospendono il giudizio, pur richiamandolo in ogni frammento dell’opera, in ogni dettaglio coerente e, soprattutto, nel lampo seducente di qualsiasi protervia amorosa.
La pratica dell’impossibile – altro nome della poesia – muove l’uomo nell’incessante ritorno della parola facendogli rasentare il disastro dell’opera, ma ponendolo altresì nella condizione di rilanciare la sua presenza attraverso la conquista dell’amore e la difesa dell’amicizia che il mondo ci porta.

2 – Continua