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Jean-Pierre Duprey, poeta e scultore surrealista del secondo dopoguerra.
Si uccide, impiccandosi il 2 ottobre 1959, a soli 29 anni, dopo aver consegnato a sua moglie Jacqueline una busta con la sua ultima raccolta di versi: La fin et la manière, pregandola di spedirla ad André Breton.
Nel giugno dello stesso anno, per protestare contro la guerra in Algeria, Duprey aveva pisciato sulla fiamma del monumento al Milite Ignoto. Il gesto gli era valso l’arresto, un brutale pestaggio poliziesco e la reclusione nel manicomio parigino di Sainte-Anne fino al 30 luglio.
Uno dei poeti più brillanti e conseguenti del surrealismo storico.


Una mano di rose inchiodata su un oggetto nero…

Che cosa resta? Cosa resta?
Del cielo, solo un gran tessuto di fantasmi sgualcito e gli occhi non riempiono che le orbite del vuoto.
Un ragno sposta la notte, è il sogno di una morta.
Ha in sé il sesso aperto della notte e i suoi piccoli andranno ad annerire il sonno dei vivi.
Un passo segreto chiude il buco del silenzio.
E la stella impallidisce.

Nella camera nuziale, è la cultura dei cuori neri. Loretta… Olim, inseguiti dalla loro ombra. La bilancia s’inclina dalla parte degli abissi. Lungo i muri s’accendono i candelieri che non rischiarano, ma riflettono gli occhi dei morti: gli abitanti.
“E ora, avanti TUTTA!” ordina il caporale spettro.
ATTENZIONE! Una profondità da sotterraneo, un appello da sotto i mondi getta lo scandaglio agli Oscuri d’Anteriore. Un appello reiterato!… È la risposta alle campane del vuoto, alle campane del vuoto, al vuoto sotto una campana…
Lo scava-fosse in pieno cuore della vita.
Oh la spina piantata nella storia del mondo!

“La rose des cendres”, in: La fin et la manière, le Soleil noir, 1965. Traduz. di Carmine Mangone.