«Era necessario per conoscervi che io schiudessi le vostre gambe e che la mia bocca fosse sospesa alle insegne del vostro pudore» (Lautréamont).
La critica del fottere come questione che porta in sé la contestazione di tutte le questioni, rende problematico quel rapporto con l’essere – inteso come tradizione, ordine, certezza, verità, radicamento in qualcosa o qualcuno – che si riceve, di fatto, dal passato degli uomini.
La sollecitudine della carne – la nostra voglia di mani, bocche, culi e arrapamenti sovrani – finisce per incrinare magistralmente le strutture e l’eterno ritorno del corpo sociale.
È inevitabile che l’accostarsi fisicamente al corpo dell’altro corrompa il pensiero.
Si può credere di vivere all’unisono col mondo (e si affronta molto meglio la china del discorso), specie seguendo le tracce di due labbra carnose…
Bisogna capire che quando il potere e i suoi ammiratori approvano la liberazione di certe dinamiche carnali, riprovano in realtà tutto ciò che non si conforma alla loro approvazione regolamentare, e, sopra ogni cosa, fanno opera di prevenzione nei confronti dei tentativi che potremmo escogitare per unire tutti i frammenti della nostra presenza al mondo.
Le mancanze della nostra voluttà sono e saranno sempre imputabili ai suoi nemici e al nostro scarso zelo nel contrastarli.
I nemici della nostra volontà di vivere sono responsabili delle nostre mancanze sempre e solo nella misura in cui esse sono la risultante di uno sviluppo insufficiente della nostra critica reale del godimento.
La nostra carnalità, per essere alla portata dell’intelligenza altrui – e poter quindi vivere compiutamente i propri slanci –, dovrà passare altresì attraverso il godimento della critica reale. Sono i nemici del nostro essere di carne a darci la materia della nostra critica. E sono sempre loro ad accrescere l’insufficienza del nostro pensiero, quando disgraziatamente sopravvivono agli attacchi della critica.
[Carmine Mangone, Mai troppo tardi per le fragole, ediz. L’orecchio di Van Gogh, Falconara Marittima (AN), 2009, pagg. 74-75. Frammenti scritti nel biennio 2004-2005. Illustrazioni dell’artista russo Vania Zouravliov.]