…ma voi vi chiedete mai il perché della vita?… V’interrogate mai sul perché di tutte le cose e su questo ambaradan che chiamiamo “mondo”?… Voglio dire: tralasciando Gesù, il Buddha, Marx e le altre panacee buone solo agli spiriti che si accontentano di una sola prospettiva, di un solo piano inclinato – per affannarsi a salire o per lasciarsi scivolare via -, vi chiedete mai perché siete stati sputati su questo cazzo di pianeta da energie ponderabili e innocenti (solo l’uomo e i suoi dèi son colpevoli secondo i nostri parametri, mettetevela via)? Io, in tutta sincerità, non me lo chiedo più da diversi lustri. Non che la cosa non m’intrighi, beninteso. Sarebbe divertente dare una definizione senza più scampo alla merda della civiltà umana e a questo mammifero degenere che uccide i suoi simili per delle astrazioni come Dio o il capitale, ma in fondo non sono stato dotato di poteri sovrumani e me ne compiaccio. Sono ormai come quel fiore o quell’uccello di cui parla Max Stirner in un passo del suo Unico. Presenze che godono dell’aria, del sole e della loro potenza fino alla fine dei loro giorni. C’è forse qualcosa di meglio che mi si potrebbe prospettare? Un “paradiso” forse più ampio di questa eternità che sento in ogni soffio del mio respiro, in ogni ansimo dei miei amori, in ogni paura che mi ricorda la mortalità? C’è forse un’eternità che potrebbe oltrepassare tutto questo? E, se sì, per farne cosa? Strame per qualche psicotico flusso demiurgico?… Ho commesso un sacco di errori nella mia vita, un sacco di casini, ma non ho alcun rimpianto. Molte mie vite e molte mie morti mi son servite a spianare la strada a quel papavero rosso (e nero) che ride in faccia al grano verde pur sapendo che non potrà mai arrivare all’estate.
P.S.: in tutto questo, ci sono state e ci sono presenze essenziali a tenermi compagnia; presenze che appartengono al passato, al presente e al futuro dell’umanità, e per le quali io metto in gioco la mia migliore umanità combattendo contro le trebbiatrici del potere e del destino. Senza queste presenze, io non sarei nulla, neanche quel papavero impertinente nel grano verde.
[scritto di getto la sera del 5 giugno 2013]
da tempo ti leggo, stavolta la voglia di scriverti forza le resistenze e si traduce in dita che battono sui tasti.
la vita non ha perché, ha dei come. i come del cuore che batte, del fegato che digerisce, i come del desiderio e dell’amore che ci proiettano nel mondo. i come di ogni individualità che intesse relazioni sensibili in modi irriducibilmente unici. l’amore e la paura, la resistenza e la voglia, lo sguardo dentro e quello fuori, ogni respiro e ogni passo negli uomini seguono lo stesso concreto e semplice modo d’essere della vita, che è la spontaneità. come l’albero nasce dal seme, così fa il mio corpo dai semi dei miei genitori o l’idea dalla mia mente. in questo mondo non c’è spazio per la colpa, non c’è spazio per il bene e il male. appena mi rendo conto che sono parte della vita, tutto ciò che è in me si rivela quel fiore di cui tu parli, e in quell’istante io sono libero e sono quel fiore, senza merito e senza peccato, pura onda pulsante e desiderante.
posso agire secondo i miei desideri, ma non posso scegliere di non avere quei desideri. tutta la mia libertà sta nel riconoscerli e goderli anzichè giudicare e resistere. passiamo la vita a lottare contro gli istinti, quando dietro ogni idea, passione o movimento non c’è altro che un impulso, sempre precedente, sempre più forte di ogni presunta intenzione, perché qualsiasi intenzione è pur sempre mossa da un desiderio.
siamo onde di desiderio e non c’è altro. riconoscerlo è attraversare nella leggerezza ogni luce e ogni ombra, le più oscure luci, le più chiare ombre, e abbracciare finalmente quell’incontro che è sempre dell’altro, poichè ogni desiderio ci rivela tanto quanto in ogni desiderio ci oltrepassiamo, e ci generiamo in una nuova realtà, costante e finita, in quell’urgente presenza al mondo, fino a quando l’onda terrà la morte alla larga da qui.
Caro Stefano,
hai fatto bene a forzarti, o, per dirlo meglio, hai fatto forza all’essenziale, a ciò che per te è (l’)essenziale, e di questo ti ringrazio sinceramente.
Stamane, c’è un nugolo di rondini che volano radenti il mio balcone. Un vero spettacolo. Tutto quello spazio gorgogliante d’ali…
Ecco. Siamo semplicemente nel bel mezzo della vita, dell’essenziale. Godere del sole (era ora!), dello spazio, dei cieli che abbiamo a disposizione in quanto forme-di-vita, nonché delle grandi potenzialità di tutto questo: nel movimento stesso, voglio dire, ossia in ciò che ci strappa all’inanità della materia bruta o alla vastità innocente dei mondi.
C’è però anche un’idea di “tutto questo”. Una sintesi che ci rende umani. E che non può essere disgiunta dal battito.
Lo stesso ritmo delle parole, la stessa continuità di ciò che ci preme, deriva da una battaglia per la totalità.
Dove per totalità non intendo un luogo metafisico, bensì un’ampia eventualità, la più ampia, e che ci permette di appropriarci di tutti i nostri possibili.
Ma credo che ci siamo certamente capiti. Lo deduco da ciò che scrivi e da “come” lo scrivi.
Siamo al “come”, sì, mi sembra ormai quasi lapalissiano. È il “come” che conta. I perché, in fondo, resteranno sempre aperti ad una molteplicità di risposte, ad una apertura irrimediabile.
Mettiamocela via: la verità non è più un monolite, la verità è un criterio che nasce dentro le relazioni, al di fuori delle quali non è mai stata niente.
Per finire (senza chiudere) questa mia replica, t’incollo qui di seguito un passo di Stirner, tratto dalla sua risposta ad un recensore dell’Unico. Non fa che chiarire il concetto di unicità e, soprattutto, il suo vero piano di consistenza: l’unione, la “comunità”. [Un caro saluto].
«Se Hess facesse attenzione alla vita reale, alla quale tiene così tanto, gli verrebbero in mente centinaia di simili unioni egoistiche, che in parte passano in fretta, in parte perdurano. Forse in questo momento davanti alla sua finestra ci sono dei bambini che si riuniscono per giocare; li guardi e vedrà un’allegra unione egoistica. Forse Hess ha un amico, un’amata: perciò può sapere come si trovi un cuore con un altro cuore, come ambedue si uniscano egoisticamente per averne insieme un godimento (…)».
grazie Carmine, per la tua bella risposta. da essa scaturisce un nuovo movimento. eccolo qua.
L’idea di “tutto questo” sarà forse il distillato dell’esperienza di me e del mondo verso la quale mi avrà mosso il desiderio, il ritorno a sé nell’assimilazione (il render simile a me, nutrimento) del contatto con il mondo, quel movimento in cui il segno lasciato dalla vita va a costituire, rinnovandolo, ciò che io sono.
L’idea sarà forse il dialogo stesso, il movimento delle passioni verso l’incendio provocato dal’incontro di almeno due unicità, e la rivelazione di ciascuno a se stesso e all’altro che questo comporta, rivelazione perfetta nell’istante, transitoria nell’attesa di un nuovo incontro.
La sensazione della verità sarà inscindibile dall’estasi amorosa.
Come nell’attimo appena successivo alla nascita non manipolata, in cui madre e bambino si fondono l’uno nell’altra e il piacere erotico, l’amore senza confini e il senso di appartenenza alla vita si aprono, si espandono e avvolgono.
Come nello sguardo degli amanti quanto toccano il perdersi nel dono di sé e da qui nell’oceano dell’essere, trovando lo specchio della propria unicità in quella dell’altro, dimenticando ogni dio poiché dio non è che l’ombra di questo, il segno del non vissuto.
…
Non puoi essere
Che te
Quindi sei
Quell’Altro che ami
Ikkyū Sōjun
La breve poesia di Sōjun mi sembra un’ottima chiosa ai nostri “movimenti”.
Immaginare una continuità tra i tanti elementi che s’incontrano sul piano d’immanenza. Far sì che questo filo ci conduca verso una consonanza. Evitare peraltro che questo stesso filo diventi un inciampo. La vita è qui. Anche la morte è qui. Il possibile che ci strega è solo un castello di sabbia. Bello, certo. Ma non appartiene a noi che lo erigiamo, bensì al movimento che ne disperderà i granelli a beneficio di qualcun altro, di qualcos’altro.
Ho visto che traduci o adatti dal giapponese. Sōjun mi piace molto, è un “discorso” che vorrò approfondire. Ti abbraccio forte.
è bello poter condividere le risonanze. la condivisione ci accompagna nel lungo abbraccio in cui vita e morte, desideri e demoni ci trasmutano, affinano e rivelano.
le traduzioni di ikkyu che propongo sono dalle edizioni americane. ma è un discorso, il suo, come quello di un certo taoismo, in cui sono da tempo immerso.
ti abbraccio forte anch’io.