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Alcuni anni fa, pensavo che niente e nessuno avrebbe ucciso il Libro. Ritenevo infatti che in alcun modo si sarebbe potuta espungere la Bibbia o l’Iliade da quel phylum, da quel flusso incessante che si chiama umanità. Impossibile distruggere simili contenitori testuali e tutti i loro riverberi, mi dicevo. Daltronde, in ogni libro venuto dopo di essi, per quanto infimo, per quanto abborracciato, non si ritrovava forse il tentativo di carpire un brandello d’èpos o il plagio “domestico” di una qualche eco blandamente veterotestamentaria? Quale autore non si sentiva, sotto sotto, il cronista dell’essenziale, il vate dell’imponderabile o il degno evangelista dell’unico dio fatto verbo?

C’era e c’è tutt’ora un’idea materiale e materica del libro. E quest’idea si tramanderà ancora per secoli, forse per sempre. Il contenitore-libro è d’altronde un effetto della mente umana, un cassetto mentale che si apre per essere riempito con segni, parole, immagini, divenendo estroflessione verbosa del pensiero simbolico, supporto fondamentale del sapere e di ogni suo possibile rilancio.

Il libro è stato uno dei frutti della sedentarizzazione, del fermarsi a riflettere da parte dell’uomo, nonché della conseguente necessità di organizzare le riserve del pensiero che si sono andate accumulando da quel momento in poi. Un bisogno di ordine dentro la durata del pensiero. Creazione della pagina, del “foglio di lavoro”, di un piano di scrittura dove mettere nero su bianco la propria fedeltà al pensiero e alle parole che lo dicono, in modo da scongiurare l’eventuale appiattimento del mondo su un fondale tutto nero o, ancor peggio, su un territorio brulicante di fonemi, di lessemi informi, inconcludenti.

Il libro è parte dell’ordine. Autoreferenziale o apertamente normativo, compiuto o appena abbozzato, il libro entra nel governo delle cose umane. E il fare libro è sempre un’impaginazione di potenze, di forze convertite in segni; costruzione di un layout con elementi dell’esistente e che talvolta arriva a porre sul piano del sapere persino un’ipotesi di totalità, di generalità. Molto spesso, quasi sempre, un indubbio imbrigliamento.

Che sia composto da rotoli di papiro, incunamboli o da volumi rilegati con filo a refe, il libro è status, stato di consistenza del pensiero, tentativo di statuire una parte di pensiero. Tentativo incessantemente rilanciato, soprattutto a partire dallinvenzione della stampa a caratteri mobili, e che ha accresciuto enormemente la quantità di sapere stoccato e la mobilità delle conoscenze. In qualche modo, il libro è diventato così una sorta di equivalente generale dei saperi particolari, una struttura di valorizzazione dellautore, un titolo al portatore e non solo un portatore di titolo.

La nascita delleditoria moderna ha individualizzato il Libro frammentandolo in tante pubblicazioni a stampa, in tante particole libresche: ognuno ha acquisito allora il “diritto” ad una singolarità in ottavo o in sedicesimo. Il libro devessere fatto da tutti, non da uno. Da ciascuno secondo il suo potere di scrittura e di stampa, a ciascuno secondo la sua capacità di lettura.

Tali processi hanno disseminato lautorialità, giungendo a creare, nellera di Internet e del digitale, un nuovo autore “omerico”, però stavolta realmente collettivo e tendenzialmente anonimo (dove qui per anonimia sintende una pletora di nomi, di nickname, e quindi una incessante rinascita dellautorialità nellinfinita propagazione degli autori).

Tutto questo ha ucciso il Libro, lo ha sezionato in una miriade di pezzi, di tweet, di appendici istantanee. Ne ha sparpagliato le viscere, i capitoli, i capoversi in ogni dove, in ogni mente, su ogni dispositivo mobile. Luccisione è stata peraltro perpetrata in unambiguità tuttora irrisolta e che vede gli innumerevoli frammenti di libro ricomporsi disordinatamente in una biblica babele di messaggi. Milioni di input, di aforismi, di versi più o meno smozzicati. Il plagio allordine del giorno. La progressiva inutilità dei ruoli “culturali”, degli addetti ai lavori. La nascita di presunte specializzazioni nel campo del sapere che hanno in realtà poco di speciale, perché tutti hanno ormai a portata di mano i loro cinque minuti di “eccezionalità”, attraverso le parole, le immagini, Facebook, Instagram, ecc., e questo avviene tutti i giorni, ogni giorno, anche quando manchiamo eventualmente lappuntamento con la nostra scrittura, con il nostro momento di ebbrezza autoriale, anzi, soprattutto quando questultimo ci manca. E se abbiamo coscienza di tale mancanza, ciò significa che siamo sempre più lanciati verso un affinamento di questepocale mutazione delle scritture e sempre più esigenti verso questa incredibile moltiplicazione del senso e dei segni che ci va regalando grandiose possibilità per scrivere infine senza padroni su quella magnifica tavoletta di cera che è diventato il mondo.


Tarda serata del 25 dicembre 2013.