Tag

,

Lo scritto che segue è apparso su una rivista del movimento anarchico italiano. Credo che fosse il 1992 e che la rivista in questione dovesse essere Anarchismo. I miei ricordi sono assai vaghi e non ho sotto mano una copia di quel numero – magari mi sbaglio, magari questo testo non è mai apparso su Anarchismo o addirittura non è mai stato stampato su alcuna rivista , il che la dice lunga sull’importanza che do alla “conservazione” delle mie parole e, più di tutto, sullo stato della mia memoria. D’altronde, le parole, tutte le mie parole, per quanto mi riguarda, servono anzitutto a rilanciare la vita, a far rimbalzare il senso attraverso i tanti possibili dell’umanità, ragion per cui le parole che finiscono sulla carta non hanno alcuna vera fine o finalità all’infuori di quel tentativo di rilancio. (Le illustrazioni del post sono alcuni collage del polacco Franz Falckenhaus). ((la parentesi tonda coi puntini sospensivi che irrompe nel testo ad un certo punto, non sospende realmente alcunché; era infatti una mistificazione gentile)).

franz falckenhaus3

Se cerco di toccare nella rabbia il fondo di me stesso, di ciò che sembra il covo del mio essere (nella sofferenza di sentirmi a tutti i costi parte in causa: corpo, anima, poltiglia di pensieri), non posso non rendermi conto dell’assoluta incertezza in cui si permane. Ogni giorno ci si trascina in vita allo stesso modo, sperando in una improvvisa ragione, così, tanto per restare nell’illusione di una perfetta padronanza della propria incertezza.
Quando mi sento vuoto, e quasi del tutto afono, costretto dalla mia mancanza di parole ad accettare un nuovo silenzio, niente (di ciò che resta) mi pare definito, eppure ogni cosa sembra fermarsi, in quella che può apparire come la fine del mio pensiero. Fine che è solo una mistificazione, la più chiara, in cui scompare la volontà. E ogni volta, subire la fine (presunta) del mio pensiero, senza la più pallida idea di come guadagnarmi di nuovo alla luce, mi rattrappisce lo spirito e mi fa sentire la possibile mancanza di me.

Per quanto mi riguarda, la morte può ridursi all’estinzione di quella particolare dimestichezza che si ha nei confronti del proprio essere.

La morte, il nulla. Quel nulla sempre un po’ diverso, nell’uguaglianza piccolo-borghese delle singole miserie esistenziali: un nulla che è materiato dalla volontà di sopravvivenza-a-tutti-i-costi, all’ombra di chi garantisce l’ignavia collettiva fatta di incubi domestici e anestesie locali.
La sottocultura piccolo-borghese, che è di per sé una mancanza di cultura o la saccente sistemazione del nulla, si costituisce storicamente come insieme di credenze; dove la “credenza” rappresenta la risultante dozzinale di una decantazione ideologica. Questo insieme di credenze, di convinzioni elementari e raramente verificate dai singoli che se ne fanno portatori, nasce come sistema di presupposti (tipico della modernità) che va a manifestarsi nel desiderio socializzato di avere-più-di-prima. La volontà di “guadagno”, incessantemente ripristinata, risale da qui all’egoismo elementare della persona singola, che va riallacciato, a sua volta, all’istinto di conservazione mediato dal sociale storicamente determinato.

franz falckenhaus1

La reificazione mercantile del desiderio è il fenomeno eucaristico della soggettività alienata; dove il desiderio che si esaurisce nella “cosa in sé”, nell’oggetto acquisito, diventa la finzione teatrale materiata dalla latenza ontologica diffusa.
Il regime di taylorizzazione della vita quotidiana, rappresentando la virtualità dell’appagamento, istituzionalizza la caratteristica ipocrisia del vetero-cristianesimo.
Al giorno d’oggi, si lascia al singolo una sola libertà: quella di scegliersi la propria, personale alienazione. Anche gli “svaghi” testimoniano del reale stato di mancanza. Quando il singolo tende a pensarsi con una coscienza segnata dal sociale costrittivo, finisce quasi sempre per credere all’autorità dei numeri e alle “verità” ritenute tali dalla maggioranza dei suoi simili, alienandosi in tal modo il desiderio che è proprio.
Nella dimensione post-industriale del “villaggio globale”, dove ci si può sentire fuori luogo dappertutto, si cerca di vivere l’idea del desiderio, e non più la sua pratica. Devo ammettere che trovo io stesso delle difficoltà, a voler vivere ciò che implica il desiderio – inteso, qui, come la strutturazione desiderante della mia capacità di sentimento. In effetti, a voler chiarire i significati possibili e le implicazioni pratiche del termine “desiderio”, finirei soltanto per farmi carico di un controsenso.
(Il verbo latino desiderare, composto dal prefisso privativo de- e da un derivato di sidus -eris, “stella”, significava propriamente “smettere di guardare le stelle a scopo augurale”).

“Solo una condizione storica di estrema miseria ha fatto sì che l’orgasmo apparisse come l’unica estasi possibile” (G. Cesarano, Manuale di sopravvivenza, 1974, p. 181).
La genitalità rappresenta qualcosa (…), rivelazione di ciò che ottunde, nella carne, per la carne, attraverso il pensiero che si fa carne. La genitalità non virtuale del cazzo, della fica, dello stordimento come apologo di un moto di distruzione non riconducibile alle meccaniche di riproduzione della merce. L’apologo del cazzo e della fica: piccola distruzione imbellettata di sperma.
(Il cazzo sarebbe osceno solo nella misura in cui lo s’inalberasse senza avere coscienza del patetico che con esso si mostra. Si sa, come il “patetico” generi un desiderio di violenza all’annuncio del sole…)
La genitalità, dicevo, come apologo di ciò che si nasconde, qualità umana dell’infimo, dell’infimo che è vita – in un’apostasia orgastica che può permetterci ogni volta la conquista di un centimetro quadrato della nostra pelle.

Non ci sono più gli anarchici di una volta
di quando i potenti si cacavano in mano
e la storia faceva fatica a contenere
il pugno delle folle
la storia è morta
agghiacciata dall’idiozia
e gli uomini non sanno più
dove trovare l’acqua
tutti in marcia
sotto il cielo che cade
il cervello-bonsai
la mano che trema
e gli occhi che non sanno la notte.

 

franz falckenhaus4