La responsabilità del poeta contemporaneo, posto di fronte a strutture sociali ben poco poetiche, assume in Georges Henein un’attitudine rigorosa e quasi intollerante nei confronti del cattivo gusto della propria epoca.
Nato al Cairo nel 1914, Henein è stato il “fomentatore” di vari gruppi d’avanguardia egiziani (tra cui quelli surrealista e trotskista), collaborando altresì alla maggior parte delle pubblicazioni d’arte e progressiste del paese: “Un Effort”, “Don Quichotte”, “Al-Tattawor”, ecc.
Nel ‘35, aveva affermato che «I surrealisti, non soddisfatti di proclamare la libertà dell’idea, l’hanno provocata» [1]. Il suo impegno, in tal senso, sarà costante, puntuale, anche all’indomani del divorzio dal movimento surrealista sopravvenuto nel 1948.
La sua poesia, per quanto malinconica e grave, conserva degli accenti ironici e una sottigliezza nella metafora che la rendono incisiva, godibile, per niente astrusa. I suoi punti fermi sono l’amore, la limpidezza delle forme e quello strano miscuglio di modestia e tracotanza che ne fanno una figura esigente, problematica, ma non certo rancorosa.
Nella dichiarazione collettiva Rupture inaugurale (21 giugno 1947), redatta da Henein, Henri Pastoureau e Sarane Alexandrian, si sosteneva che «Il sogno e la rivoluzione sono fatti per conciliarsi, non per escludersi. (…) Sventare l’invivibile non significa fuggire la vita, ma precipitarvisi totalmente e senza ritorno» [2], e questo bisogno di una conciliazione tra materia e spirito, ovvero di un luogo non comune dove s’incontrino e si decantino liberamente le diverse manifestazioni dell’uomo, è sempre stato un elemento costitutivo e dinamico dell’opera di Georges Henein.
Per chi vive senza riserve, la poesia diventa spesso un’ingiunzione da sbattere in faccia agli ipocriti per favorirne il risveglio. Le “sragioni dell’essere”, alle quali si appella Henein, si rivelano quindi un indubbio viatico per aderire più strettamente alla carne dell’altro.
Lo stesso poeta egiziano, rispondendo nel 1946 ad un questionario, dà peraltro alcune delle più belle definizioni di “surreale”, nelle quali si potrebbe scorgere in nuce una sorta di nuova morale poetica: «Ritengo surreali – sosteneva Henein –: l’amore unico, certi baci inutili sotto la pioggia, la non-volgarità poetica, la mancanza di discernimento, forma questa della lucidità divenuta necessaria, (…), e tutto ciò che si vede solo nell’erba, sui vetri appannati, attraverso le lacrime delle sconosciute» [3]. Parole, quelle di Henein (morto nel 1973), che compendiano efficacemente tutte le immagini dell’amore e dell’arbitrio, e sulle quali bisogna indugiare, se si ha intenzione di schivare almeno in parte la logica prosaica delle cose. [Carmine Mangone, 2002]
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GEORGES HENEIN
Prospettive [4]
A André Breton
perché non incontrare su una passerella tesa all’improvviso tra due catastrofi una donna dagli occhi di galoppo che vi dirà il suo nome più bello da percorrere d’un precipizio agghindato di stelle nere?
perché non organizzare delle gran dormite di capelli multicolori sulla scena sempre deserta dell’orizzonte?
perché non guarnire i pendii di montagna con creature dal sesso di radio che s’unirebbero ai paesaggi e li brucerebbero ad ogni amplesso restando da sole in un vertiginoso chiarore?
perché non liberare in un colpo solo le miriadi di specchi inchiodati al capezzale della terra?
perché non rendere abitabile la vita?
perché non disertare le carni abituali e i destini vissuti a sufficienza?
perché non scostare le palpebre delle strade maledette e sparire nella notte più insolubile portando come solo avvenire il corpo di una sconosciuta tagliata in piccoli pezzi attraverso un sogno da affinare senza rischio di risveglio?
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Lettera ad una ragazza per il suo debutto in società [5]
piccola laguna
dove già si precisano le stelle
laguna del cavo della mano che non allevia
alcuna sete
tutte le facce sono fissate
allo stesso chiodo di pallore
si finge di non saperne niente
ma il sangue oggi è in ribasso
non si parla che di sé
le case sono a misura d’uomo
– in ritardo di un saccheggio salutare
ma ecco che affiora in voi
il corso latente delle cose
traccia appena visibile nel suo capriccio nascente
si pone la finestra davanti allo sguardo
l’esitazione davanti alla vita
bisogna costruire un viso come si edifica una città
gli uccelli sacri si sono appena pronunciati
sulla sua ubicazione.
[ Traduzione di C. Mangone. Le immagini sono tratte da: BRAU Jean-Louis / PALMER Claude, Le voyage de Beryl Marquees. Roman, Eric Losfeld Editeur (Le Terrain Vague), 1968. ]
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[1] Cfr. l’articolo René Crevel, in “Un Effort”, n. 56, octobre 1935; cit. in: Alexandrian, Georges Henein, Seghers, “Poètes d’aujourd’hui”, Paris, 1981, p. 16.
[2] Cfr. Alexandrian, cit., p. 49.
[3] Ibidem, p. 37.
[4] Perspectives. Testo tratto da Déraisons d’être, Corti, Paris, 1938.
[5] Lettre à une jeune fille pour ses débuts dans le monde; da L’Incompatible, La Part du Sable, Il Cairo, 1949.