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disGrace

 

 

– Dai che manca poco al daylight saving time, avremo più luce. Ho un non so che di santo addosso, chi desidera entrarmi in Comunione?
– Lo stabile, estraneo all’elenco dei beni culturali da conservare, è pronto per la demolizione. Nessun grattacielo al suo posto, solo piccole strutture private ad uso residenziale e al centro, perché no, un multisala. Lo decide una repentina variante al piano regolatore generale, approvata all’unanimità.
– Posta, di quella che ti portano a casa. Un’altra cartolina da Whistler Blackcomb. Viene da pensare perché certa gente faccia avanti e indietro dalla BC come se niente fosse. Forse l’avvocatessa ha vinto l’ennesima causa, e io me la figuro nel suo tailleur color fiala attirante per ciprinidi a sciorinare articoli davanti al giudice, schiudendo superbe labbra griffate. Chanel, I suppose, magari pure number 50, Infrarouge Flamingo.
– Dove sono? Ah, sì. Partono musiche lente, spunta una mano dalla penombra di un’atmosfera ocra diluita nella trementina, un sorriso vasto e nostalgico come l’Oceano Atlantico. Chi diavolo sei tu che non mi conosci, tu che mi dici cosa fare, e soprattutto, perché non riesco a dirti di no. Forse ho bevuto troppo. Va bene allora: accompagnami nei passi ma senza dire, incrociami gli occhi ma senza ricordare, le tempie si toccano e le sento pulsare, non mentono. Passami i tuoi pensieri se vuoi, posso vedere attraverso l’elettricità di questo corto circuito, e credimi, non mi serve altro, non voglio altro. Fammi solo un favore: non spiegare, non dare un nome a tutto questo, non dare un nome nemmeno a me, non dirmi il tuo, restami straniero fino all’ultima nota e dall’ultima nota in poi.
– Tre ore di parole risucchiate dal buio, il lucidissimo delirio di una notte inghiottito dal decremento del nulla, sbalordisci e capisci che è così che deve andare. Non perderò altro tempo a chiedermi che fine abbiano fatto le mie meravigliose virgole. Si, le vir, go, le. In alternativa ho nel freezer tranci di rabbia da scongelare.

~ ~ ~

Luce non depone a favore, la stanza è esposta male.
Uno specchio enorme in stile mi riflette, sollevo la testa,
un bacio ai miei contorni fuori fuoco: mi amo per un secondo, giusto uno.
Musica dal pianterreno, sono sola, azzardo un passo, giro su me stessa,
rapidissima improvvisazione con gran finale di liquirizia elastica
che fende l’aria a lazo e colpisce forte il bordo del tavolo.
Che botta, avrà sentito?
Torno gnorri al mio lavoro, riprendo ad intrecciare dolcezze nere,
ma la signora è lì, mi ha vista non vista ferma sulla porta,
un ghigno: “che brava, lo rifai?”
Colta di sorpresa arrossisco, mi si velano gli occhi, tra l’ilarità isterica e la vergogna – difficile da spiegare –
replico secca che mi è venuto spontaneo.
Solita sciocca lesa maestà.
Non ho mai appreso l’arte della temperanza.
Corda tesa all’infinito, nervi sempre in trazione.
E pecco di sproporzione rispetto alla mia esile figura.
La signora si allontana di nuovo, imbosco al volo un sacchetto di ripiene.
Scrollo la testa e sorrido in una lacrima.

~ ~ ~

21 giugno. Alla fermata io e una biglia di vetro. Scintilla prigioniera di una crepa del porfido sotto la violenza dei raggi delle trediciedieci. Polmoni gonfi d’afa fiato corto smorfie di tedio sudore sugli zigomi grumi di cipria camicetta slabbrata sguardo sdrucciolevole pensieri in scatola e stitichezza di parole. A quest’ora si sta meglio, a quest’ora di ennesimo solstizio, a quest’ora che è già un domani, a quest’ora di acqua e sapone, a quest’ora di trigoni planetari, di flussi e deflussi, di rumori stemperati, a quest’ora di cicale, di capelli bagnati e di stelle in glitch.

Nonna Nadine tre giorni prima di addormentarsi per sempre. Nonna Nadine e i suoi sprazzi di lucidità in un filo di voce. Apri quel cassetto, non quello, nemmeno quello, l’ultimo: cerca sotto sotto sotto a tutto quanto. Nascondi quello che trovi in borsa e zitta. Zitta. Ecco, ho trovato, nonna Nadine. Sotto alle lenzuola ricamate ingiallite dal tempo tra le esalazioni della canfora. Tra i centrini fatti all’uncinetto e in mezzo a cultura agreste del secolo scorso che pure un po’ mi appartiene. Quel non so che di villano che ogni tanto tiro fuori. C’è stato un momento della mia vita in cui mi sono ritrovata al mercato a vendere pomodori ai turisti tedeschi come tu li regalavi ai soldati quando passavano davanti al tuo pezzo di terra. Ja, Ja, tomato tomato. Tomato tomato, t’ho amato. Quanto ti ho amato. Ho cercato e trovato nel tuo cassetto, nonna Nadine.

 

[ Foto: dis(Grace) ]

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