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L’affetto era il motore del desiderio, la gloria mai vana della ricerca, le scarpe della festa calzate da una seduzione giocosa, rispettosa.
Avevamo la grazia di tenerci per mano anche nella scarsa parsimonia dell’amore e sapevamo trasformare i desideri ancora incerti in qualcosa che si potrebbe chiamare dimora o compiutezza o fiducia.
Come un’alba in pieno smarrimento, la poesia bussava ai nostri occhi e ci faceva gioire finanche per le contraddizioni messe in comune.
Tentammo quindi la primavera. L’aria era buona. Le rondini volavano alte. I semi sembravano più vivi delle parole. Ma sotto gli ulivi finì per accamparsi solo un proditorio autunno.
A quel punto, sarebbe stato ridicolo far finta di amare la morte dell’amore per scampare al rimpianto. Avevamo giocato seriamente per vincere l’origine del nostro amore e potevamo ritenerci oltremodo fortunati.
Nell’abitare un destino, fino all’esproprio d’ogni speranza, non eravamo mai stati stranieri al corpo dell’altro.

Laureana Cilento, 3-4 luglio MMXX. Fotografie: Katia Chausheva.