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Cerco di dar voce alla mancanza di parole, all’accortezza dei timori, non secondo l’essere o l’efficacia, bensì attraverso il comune desiderio che accarezza l’Altro, che perdona l’Altro – il vivente irrimediabile, l’impotenza tenera della cosa mortale – non richiesta, per niente invocata, ma accolta, irredenta – come polline solerte dell’eventuale.

Malgrado la lente della disillusione, il cielo ha ancora un suo perché.

Il mio lungo viaggio è stato faticoso, a tratti persino imprevidente, eppure son riuscito a conservare una precisa intolleranza nei confronti della morte.
Leggevo gli altri col sesso, col fegato o con la parte più buia della mente. Volevo una gioia che non avesse le ore contate, una ragione che non insultasse le fioche luci della soddisfazione. Una gioia per i transiti. Una ragione per la tenerezza.
Ma nel mentre? Cosa faceva sì che il mondo accadesse? E quale respiro costruiva le nostre presenze?
In questo spazio da dove ti scrivo, il cielo non nasce sempre azzurro, eppure le rondini tornano ogni anno a prendersi cura dei miei monconi d’ala.
(Altrimenti. Fare una carezza finanche alla morte. Ridere del dio trasognato. Fornicare coi fili d’erba. Lasciar perdere tutte quelle parole che non ci facciano franare al cospetto d’un sorriso).

In una poesia circondata dal
mare,
chi è che circonda a
sua volta l’acqua?
Il paese della tua bocca
mi accoglie nella
scienza dove frana ogni voce.
Il cielo sbadiglia.
La luna mi sveste fino a farmi
cantare ogni più piccola foglia.

I miei ulivi sono una geometria calda nello spazio dei ricordi razziati. La terra si solleva. Erma di papavero. Erma di cuore. Nel fango del tramonto, i bambini ch’eravamo si toccano nelle parti più scabrose della morte. Prima che faccia buio, a monte del giudizio, poche note di violoncello fan fiorire anche le pietre.

Il sole reclina. I gattini giocano. Io me ne sto a fumare.
Intanto, la tribù dei gechi comincia a ordire le sue manovre lungo i muri di casa e il mio pensiero si ferma a sorridere al futuro della tua voce.

Laureana Cilento, agosto MMXX. La foto è mia.