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ad Angela

Buongiorno a te, cielo. Dammi oggi le mie nuvole quotidiane e non pretendere da me alcun volo bastardo. Amen.

Vette, ma anche profondità, soprattutto profondità, e puzzo di piscio, puzzo di stelle, vaccate sentimentali rubate al mondo, sintomi di un infinito bastardo, e ancora: stronzate inespresse, eppure portate all’occhiello come se fossero giochini da usare sulle prossime barricate.
Che poi, me ne fotto pure delle barricate e della vostra filosofia senza sudore, senza piatti accumulati, senza pompini, senza sampietrini.

La morte è venuta prima dell’orgasmo, ma l’orgasmo si fotte ogni morte.

Smetterò di credermi immortale solo quando non sentirò più, dentro la mia testa, quest’arrapamento per l’eternità.

Il mio sesso è un illetterato. Io cerco di parlargli, di leggergli una poesia di Ezra Pound o un passo di Guido Morselli, ma non c’è verso di distoglierlo dalla preistoria del suo sangue.

 

 

Bisogna inventare continuamente una propria negligenza verso la morte.

Ho sempre scritto al di sopra dei miei mezzi.

Sorridi. Mi guardi tutta vogliosa. La vita è matura.

La tua intelligenza mi radica nella carne dei giorni. Il tuo orgoglio m’intenerisce. L’ironia del tuo corpo viene a regalarmi ogni volta un nuovo sorriso.

La parola pompino è piena di pettirossi e passaggi segreti. La parola fica è attraversata da nuvole bianchissime e da bagliori intermittenti di colore preistorico. La parola tenerezza è una stella che fa le fusa all’intera Via Lattea. La parola poesia contiene una pietra d’inciampo e svariati rapimenti caldamente consigliati.

I tuoi seni olimpici, pesanti, che sobbalzano allegramente mentre mi scopi. E il piacere immutato che provo a morderli, a schiaffeggiarli, a tirarti i capezzoli fino a farti urlare. Le cose belle della nostra costituzionale indifferenza verso le astrazioni. Non avere niente da dire.

 

 

Toccarti. Venire a sfiorarti ogni volta che ho paura della tenerezza.

Per vigneti e miniere di poetiche stronzate, ascendiamo compatti al seno della madre. Ma una volta paghi, lo disertiamo – sì, lo disertiamo – per l’assoluto mondo della voluttà.
Restando inesprimibili come il vento, rinasciamo ogni giorno dal buco del culo della volontà e facciamo della ragione un naufragio appena plausibile. Figli della lacerazione, ci tocca ricucire un cielo a prova di nuvole e dove anche gli ultimi bambini della Terra avranno ali.

È quasi l’alba e la luce tenta di farsi largo tra gli scuri della finestra. Tu dormi, raggomitolata contro di me, e il tuo respiro regolare scandisce gli ultimi avanzi della notte. Ti sfioro un capezzolo. Mi diverto a lambire la tua pelle senza svegliarti. Non succede nulla. Non deve succedere nulla. L’idea della morte è molto lontana da qui.

Voglio credere che tu abbia già in serbo per me tutta la tua compassione per quando non proverò più alcun desiderio a leccarti la fica.

(I veri e unici pervertiti sono quelli che amano la propria croce: i piagnoni, i segaioli della penitenza, gli amanti degeneri di una vita perennemente in debito).

 

Frammenti scritti nel 2019 (e ribaditi oggi, più che mai). Illustrazioni: Petites Luxures.