È una questione di orientamento?
Se impari a muoverti nel mondo, il rischio è non riuscire a perderti mai. E tu vorresti perderti, dimenticare, dimenticarti.
I quattro punti cardinali ti inchiodano come una croce, come una ferita. C’è molta strada da fare, ripeti, c’è molta strada e vai.
Treni, sogni, speranze, disillusioni, corpi da aprire, corpi da chiudere, corpi da sciogliere, da stringere, amori…
Guardi in fondo ai suoi occhi e gli occhi non ci sono mai stati. Quella che sembrava pupilla, è solo vuoto. E il bianco, è vuoto. E il verde, è vuoto. E gli zigomi, è vuoto. E le mani, le parole, il mattino, la notte, le domande, è vuoto. Persino la tenerezza, nel vuoto, si svuota del volto che non c’era e non c’è.
E cosa c’era e cosa c’è? Queste parole cosa rincorrono? All’ombra di quale albero cercano riposo? Si cerca la luce e ci si ritrova al buio.
Quando vorresti avere una ragione forte per restare, ma un’altra ancora più forte per andartene via… È il vuoto che cresce [a Firenze]. Sei sulla soglia di un altro inverno della vita. Un mese a un nuovo anno che si chiude. Muterai ancora? Cosa muore? Quale treno si sbarazzerà della tua ragione?
A cosa in te stai per dire addio?
Voglio dirti addio. Ma non so umiliare il pane della poesia, non so ignorare le seduzioni del sogno. Ho perso treni, amore, ne ho presi altri, ho cambiato città, ho viaggiato, ho tradito, sono stata tradita, ho amato, ho goduto, ho amato ancora, ho preso, ho perso, ho fallito, ho pianto, ho voluto, ho staccato i petali di un papavero mentre aspettavo un treno quest’oggi, – io cercavo le rose invece, volevo sentire nella carne delle dita le spine delle rose, – e non aveva sangue, come me, ma soltanto rosso, rosso anche lui, di vergogna di rabbia di desiderio di malinconia. Rosso di ruggine, infine, che riga il volto dell’armatura che ho lasciato rotolare e cadere, e fermarsi ai piedi delle tue mancanze, la tua mancanza, per non difendermi più.
* * *
Si parla tanto di inclusione, dalla scuola alla casa, oggi più che mai…
Che esperienza possiamo fare dell’altro, in generale di un-altro, così vicino e così diverso? Che esperienza l’altro può fare di noi? Dove noi e l’altro possiamo incontrarci davvero? Dove possiamo toccarci? Dove è possibile smettere questo ego-centrismo per amare dell’altro anche le sue “stranezze”? Come possiamo al meglio de-centrarci per perderci nel mondo, tutto il mondo?
Nel territorio della lingua, nel territorio della cultura? In chiesa? In casa?
E qual è lo sforzo che si richiede, nell’ambito scolastico, al docente, per far sì che l’inclusione diventi progetto adesso e in divenire?
Oggi ho chiesto a uno degli ultimi ucraini arrivati in 1A come si sentisse.
How do you feel. Your feeling… sorry for my English.
Oh… it’s a good question…
It’s so strange, I know.
Yes! Really strange…
È strano, in Italian. Davvero strano. Repeat with me. Also for me it’s strange, but beautiful.
È-s-t-r-a-n-o…
Io non lo so se le mie conoscenze e il mio modo di rapportarmi con gli studenti possano far funzionare l’inclusione. Ma vi assicuro che oggi, nei corridoi della scuola, nella mia ora buca, uno dei miei nuovi studenti ucraini, con un sorriso stampato sul volto, riconoscendomi e salutandomi così, in mezzo alla confusione della ricreazione delle classi, mi ha dato la possibilità di esistere (esistere per lui, mi ha dato tempo e spazio) includendo me, in quell’istante della sua vita.
E ora quello sguardo azzurro non lo abbassa più. E se lo distoglie poi lo ricerca, lo pretende, si avvicina, gioca, ripete con me le parole. Avvicinandosi, mi sento inclusa.
E tu, se ti sfioro le dita, se ti bacio la nuca, come ti senti? What’s your feeling?
Emanuela Fortunato, 2-3 maggio 2022.
[ Opere: Alberto Burri ]