Tag

, , ,

René Char, Comune presenza, accompagnamento alla lettura di Carmine Mangone, Nautilus, Torino, 2025, pp. 128, con appendice fotografica, euro 14.

* * *

Copie del libro si possono richiedere compilando il modulo che trovate in fondo alla pagina Bookshop, oppure scrivendo al mio recapito e-mail: mangone.carmine@gmail.com – in alternativa, si può contattare la Nautilus: ordini@nautilus-autoproduzioni.org (N.B.: aggiungete sempre un paio di euro per le spese postali).

Un ringraziamento speciale a Viviana Leveghi, la cui “vivificante” presenza ha posto le basi per quest’opera, nonché alla com-unicità torinese chiamata Nautilus, la quale mi concede spazi e fiducia da quasi venticinque anni.

Download gratuito di: René Char, Œuvres complètes, Gallimard, 1983 (PDF, 27 MB)

* * *

Nota in quarta di copertina:

René Char (1907-1988) è stato un surrealista rissoso e indomabile, un comandante partigiano amatissimo dai suoi, un anarchico senza più alcun anarchismo da validare politicamente, nonché, soprattutto, un poeta tra i più limpidi e possenti del Novecento.
Restando in ascolto degli elementi, Char ha saputo costruire dei concatenamenti di senso e uno spazio indefettibile per tutte quelle agitazioni poetiche che non cessano, ancor oggi, di rilanciare la potenza del vivente in un mondo sempre più succube dei convenzionalismi culturali.
La presente antologia si propone un percorso nient’affatto agiografico e che ha a che fare più col futuro di ogni autentica attitudine poetica e molto meno con ciò che ci viene propinato dai patetici narcisismi letterari della nostra epoca.

* * *

[ René Char ]

(…) Oggi a che punto mi trovo? Non lo so esattamente. Ho difficoltà a riconoscermi lungo il filo delle evidenze di cui sono l’internato e il testimone, lo scudiero e il cavallo. Non sono io ad aver semplificato le cose, ma sono state le cose orribili ad avermi reso semplice, più incline a fidarmi di pochi, in fondo ai quali permangono, tenaci, i fuochi morenti della ricerca e della dignità umana (dignità così difficilmente realizzabile nell’azione e in quello stato ibrido che ne consegue) altrove già annientati e spazzati via, disprezzati e negati. Il permesso di decidere, accordato all’uomo, può essere solo infinito, benché la nostra libertà si eserciti all’interno di qualcosa la cui superficie non è libera, di qualcosa che rimane condizionato. (…) Guardiamoci però dal sentimentalismo politico, così come dal suo volgare contrario. Sto cercando di dirti che, se per me certi prodigi hanno smesso di contare, non ne difendo meno, con tutta la mia energia, il diritto ad affermarsi prodigiosi. Non sarò mai abbastanza distante, né abbastanza perso nella mia indipendenza o nell’illusione di questa, da privarmi del coraggio d’amare quelle menti forti e disobbedienti che si calano in fondo al cratere noncuranti dei richiami provenienti dal bordo.

Lettera ad André Breton, 1947

*

(…)
Hai fretta di scrivere
Come se tu fossi in ritardo sulla vita
Se è così da’ séguito alle tue fonti
Affréttati
Affréttati a trasmettere
La tua parte di meraviglioso di ribellione di benevolenza
In effetti sei in ritardo sulla vita
La vita inesprimibile
La sola in fin dei conti alla quale accetti di unirti
Quella che ti è rifiutata ogni giorno dagli esseri e dalle cose
Di cui ottieni a stento qui e là qualche scarno frammento
Al termine di combattimenti senza pietà
Fuor di essa tutto è gretta fine sottomessa agonia
Se incontri la morte durante le tue fatiche
Accoglila come la nuca sudata trova dolce il fazzoletto asciutto
Piegandoti
Se vuoi ridere
Offri la tua sottomissione
Mai le tue armi
Sei stato creato per momenti poco comuni
Muta te stesso sparisci senza rimpianto
Con soave rigore
La liquidazione del mondo prosegue quartiere dopo quartiere
Senza interruzione
Senza smarrimento
(…)

Comune presenza, 1936. Testo integrale QUI.

*

(…)
Non vedrò i tuoi fianchi, questi sciami di fame, ridursi, riempirsi di rovi;
Non vedrò l’empusa rubarti posto nella serra,
Non vedrò l’avvicinarsi dei saltimbanchi turbare il giorno rinascente,
Non vedrò la razza della nostra libertà accontentarsi servilmente.

Chimere, siamo saliti sull’altopiano.
La selce tremava sotto i tralci dello spazio;
La parola, stanca di sfasciare, beveva sul molo angelico,
Nessuna fiera sopravvivenza:
L’orizzonte delle strade fino all’afflusso della rugiada,
Intimo scioglimento dell’irreparabile.

Ecco la sabbia morta, ecco il corpo salvato;
La Donna respira, l’Uomo si regge in piedi.

Volto nuziale, 1938

*    *   *

[ testimonianza di Pierre Zyngerman ]

Bisogna dire che il nazismo non era un nemico ordinario. Siamo stati toccati dal nazismo (alcuni consapevolmente, altri meno, ma tutti, in maggiore o minor misura) nel più profondo della nostra “civiltà”, al cuore di ciò che ciascuno di noi porta in sé di civile e d’umano. Sentivamo che i valori fondamentali erano messi in pericolo da questa incarnazione della barbarie, e le vittorie del nazismo ci portavano a disperare dell’Uomo. Al cuore dello sgomento e della disperazione di ognuno, l’azione di uno Char ha in qualche modo ristabilito l’equilibrio. Ha saputo restituirci la speranza fondamentale, farci vedere che il mondo non poteva essere completamente mostruoso, che tutto ciò a cui tenevamo non era distrutto per sempre. (…)

1971

* * *

[ dal commentario di Carmine Mangone ]

Nell’ambito della scrittura, del mettersi in opera per mezzo delle parole, ciò che ancora possiamo definire «poesia» deve far sì che gli eventi del quotidiano abbiano o riacquistino la loro potenza d’espressione, ovverosia ciò che qui si è denominato po(e)tenza. La luce che cade sulle cose dev’essere intensificata evitando però di svilire quelle ombre dello spirito che portino un dubbio rifocillante. «Le parole che vanno a emergere sanno di noi ciò che noi ignoriamo di esse» (Char, OC, p. 534), ma una tale ignoranza ci porta a concepire una loro realizzazione interrogando costantemente il nostro sapere e i nostri entusiasmi passati, insepolti. Le parole non ci dicono. Le parole ci tengono sul bordo di un discorso che viene ormai da molto lontano e che deve la sua salute (e la nostra) alla velocità con cui agganciamo la sua corsa ai disegni del nostro desiderio più intraprendente e rispettoso. Dunque: «Far debordare l’economia della creazione, espandere il sangue dei gesti, dovere di ogni luce» (OC, p. 129), in modo da allargare il territorio della bellezza, quindi l’incidenza inattuale e solerte della poesia.
Le parole non vanno istituzionalizzate in un catasto letterario, in una burocrazia dei sentimenti. Proprio per questo, la poesia deve sganciarsi da qualsivoglia mitografia e operare per una com-unicità delle presenze decisive e irriflesse. Il reale, o ciò che ne rimane, non può accasarsi in intese mitiche. La convalescenza del pensiero non appartiene a chi smette di foraggiare la speranza.