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«Ma voi amate la filosofia, possedete un bellissimo controsenso, un uso, una finezza nel controsenso e un calore nel rectum che mi fanno andare assai d’accordo con voi» (D.A.F. de Sade).

A partire dalla sua comparsa, il culo rappresenta una crisi, la crisi della pubblicità (intesa qui come scena del dominio pubblico); crisi che pone da subito l’alienazione del corpo in un buco e, parimenti, la sua realizzazione, sempre differita, nella violazione delle cose che ne impongono l’occultamento.

La soggettività del culo non è altro che il rovesciamento delle idee false sulla storia del corpo.

Bisognerà insorgere senza posa contro l’opinione che esige che lo svelarsi del culo sia inadatto al moto del pensiero. Il culo non è dialettico, ma la dialettica non è una legge.

(…) Il venire alla luce dell’ano è il rimosso storico e biografico della natura che irrompe, o meglio: il momento in cui il divenire dell’attività cosciente dell’uomo si focalizza intorno a un addensamento del rimosso. È come se la realtà del corpo diventasse ancora più reale attraverso l’intimidazione fatta dal buco del culo a tutto ciò che lo scredita.

Mai troppo tardi per le fragole, edizioni L’Orecchio di Van Gogh, 2009.

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Ammiravo le gambe spalancate su quel divano rosso. Il culo proteso verso di me, verso l’obiettivo dei tuoi anni passati e futuri, di tutti quegli anni che non ti possedevano e che tu stavi per regolare senza irrisione.

Costruivo icone per il mio cazzo; imboscate di figure; reticoli di carne e tenerezza per avere fra le mani non il passato raffigurato o un futuro incontenibile, bensì la presenza di te attraverso il mio sesso; generosità di un noi in potenza; invadenza di sangue; significazione per antonomasia dell’eccesso che ci riempie dell’altro, dell’idea dell’altro, e che invoca una soddisfazione senza fine, uno svuotamento della propria esuberanza dentro l’eccesso dell’altro.

Quest’amante che si chiama verità, § 2, frammento, 2014.

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Adoro vederti a quattro zampe, mezza nuda, che te la ridi guardandomi. Adoro quella posizione. E tu lo sai, lo fai apposta a metterti sul divano o sul letto col culo in aria. La tua intimazione tacita non ha alcuna legittimazione, all’infuori del volermi agitato e divertito.

La parola “libertà” non è abbastanza aperta per dare il senso di questa esposizione, di questa volontà. Il tuo corpo resta sempre un corpo a venire, pur nella presenza, pur nel riempimento del mio campo visivo. Io ti prendo, ma non ti rubo, non posso sottrarti al divenire del tuo culo, dei tuoi spigoli, del tuo senso.

Quest’amante che si chiama verità, § 3, frammento, 2014.

[Fotografia: coalesced.photography]