[ Un gioco, un trastullo: trasformare una poesia carnale e senza pretese (?) in un piccolo ipertesto (!?).
Sarà che da ragazzino ero iscritto alla UAI, chissà…
P.S.: non badate alla foto, è congrua solo surrealisticamente.]
perché lasciare gli astri lassù in cielo ad uso e beneficio di tutti questi
scalzacani della poesia?
le stelle non sono crumire
non vengono a surrogare i vostri cuori in sciopero
ho un intero zodiaco di cicatrici a ricordare il sangue che ero
e ammassi stellari senza fine a riempire il mio corpo più vero
– la rima m’è venuta così
prendetela come un infortunio della materia
ma non state a scomodare l’ovvio mi raccomando
leggo del limite di Chandrasekhar e il mio pensiero va alla
tua fica che collassa sotto i colpi della mia lingua
intorno alla vertigine posso solo immaginare un
campo gravitazionale così intenso da
non poter scampare al movimento delle tue reni
e quel sorriso prodotto da una supernova che
pare la nebulosa NGC 1435
[ Pleiadi oh Pleiadi voi che bramate quegli
astrusi anal toys della regina di Creta ]
può solo riflettersi contro il pianetoide Haumea
per poi tornarti sulle labbra come una crepa dell’infinito
Le stelle cadono sui russi. Dev’essere pieno di poeti, lassù. E gli astri si vendicano, prima o poi. E se c’è una giustizia privata delle cose, eccola, cadere dal cielo. Meglio di una religione o di una legge statale.
Mi ricordo che per anni mia nonna aveva messo in un angolo buio della cucina il quadro di un pittore surrealista minore, meraviglioso. Vi era ritratto un gatto intento a mangiare la luna, gigantesco. Intorno uomini in giacca e cravatta scappavano terrorizzati. Al centro della parete del salotto, invece, sopra un enorme divano, campeggiava regale un insulso vaso di fiori dipinto da una nostra vecchia cugina morta, per fortuna, proprio appena aveva iniziato a dipingere. Un giorno, mentre mia nonna era china a raccogliere una cipolla cascatale dalle mani, il quadro surrealista decise che era il momento buono. Si staccò dalla parete, di colpo, con un innaturale salto in avanti. Il vetro della cornice si sfracellò sulla schiena di mia nonna e ricordo ancora mia zia, medico, che con delle pinzette le toglieva le schegge dalla testa, in mezzo a quei capelli biondi insanguinati.
Tutti si preoccuparono e avevano facce storpiate dal fastidio e dal dispiacere. Io no. Io mi sentivo bene, come quando uno cerca di darti un calcio nel culo, mette il piede in fallo, scivola e si rompe l’osso sacro.
Non credo che gli astri si vendichino di noi rovesciandoci addosso ogni tanto un loro significativo frammento. Ritengo infatti che non ci siano intenzioni belluine nelle dinamiche cosmiche, a meno che non si sottenda un qualche “funesto demiurgo” nascosto nel più insondabile buco nero della mente.
Gli astri se ne fottono bellamente di questo nostro pianeta, mio caro. E come dargli torto? I veri alieni sono gli umani snaturati.
Mi colpisce nel tuo aneddoto familiare il fatto che il vaso di fiori dipinto dalla cugina, in tutto quel bailamme, resti integro. C’è questo balenio del brutto che poi non si risolve, sopravanzato dallo sfascio della surrealtà domestica. Un apologo teppistico in dieci righe, il tuo.