Sradicarmi dall’operosità che mi allontana dall’essenziale. Strapparmi al cerchio magico del dover fare. Abituarmi all’idea di una morte giocosa, di una morte che mi conduce da vivo verso il rovesciamento di me stesso, e che, nel rivoltarmi come zolla di carne, mi chiama alla germinazione, all’insorgenza senza nome.
Vivere l’essenziale ci porta sempre verso una qualche origine, e poco importa se avanti o indietro; proviamo una sensazione come di sospensione, di libramento nel pensiero o nella luce meridiana prima della picchiata, prima del corpo decisivo. E questa sospensione addensa energie e le dispensa dal morire vanamente dentro il pensiero.
– Forse non era qualcosa che sapevo, bensì qualcosa che era già incluso nell’amore. Se gli occhi e le mani fuggono in avanti, la mente può stare soltanto sul bordo. Ci si apre al cambiamento, si vara una nuova mancanza di misure. E il pensiero imbandisce invano il suo zodiaco. Forse non è qualcosa che si possa prevedere. Spesso l’incontro si rivela un cortocircuito improvviso, ineludibile. Potremmo mai inventarci un parafulmine per accogliere degnamente un cielo senza nuvole? Dopo aver costruito un punto d’origine insieme a te, si sarebbe dunque giocata per entrambi la bella partita dell’intesa. In quel movimento, in quel mio preciso spaesamento, mi ritrovavo infine senza centro, senza gravità, preso interamente a dover ricreare l’affetto essenziale verso il mondo.
La scrittura è questa compagna ambigua del pensiero. Lo raggruma, cercando di frenarne la marcia inarrestabile – in un modo spesso patetico, vanaglorioso – e nondimeno non cessa di rilanciarlo continuamente, tentando di stabilire su questo stesso rilancio le fondamenta dell’opera e del movimento che la sottende.
La contraddizione nasce spesso sulla soglia tra vita e morte, in uno scontro tra possibile e impossibile dove non è neanche pensabile una reale soluzione di continuità.
Voler ridurre l’impossibile è già un andamento, è già un destinarsi all’ingovernabile. Nessun pensiero argina realmente la corrente.
– Mi dici che la verità di cui parlo non esiste. Ma ti sbagli. Una tale verità esiste e si ricombina ogni giorno nel flusso di toccamenti e pensiero che ci unisce. Solo questo flusso invera e cicatrizza il mondo che si apre fra di noi.
23 novembre 2011. Frammento confluito in Quest’amante che si chiama verità (Gwynplaine edizioni, 2014).
… potessi disegnarla … stasera farei a meno delle parole.
Potresti provare. Disegnare il libramento. Una grande sfida.
il mistero del tocco, terrificante e sublime.
La coppia. La parola è il coltello che squarcia due labbra. Siamo due lembi di carne che abbracciano l’essenzialità di un nuovo zen. Il silenzio resta inscritto fra una traccia e l’altra. Il centro che manca, è anche il centro che ci tiene insieme.
Stasera non mi aggrappo alla scia del tuo seme/segno, non mi aggancio a nulla. Conosco la sospensione di cui parli, e vi ho fondato la mia causa.