La posta in gioco non era semplicemente il tuo amore, bensì l’alleanza che la mia intelligenza traeva dall’intrico di carne, entusiasmi e pensieri che eri tu; dalla possibilità di costruire un mondo con te, un mondo che fosse la continuità di tutti i mondi alla nostra portata.
Le nostre regole non esclusero alcun possibile. Eravamo come finestre socchiuse, condiscendenti verso ogni corrente d’aria che ci spalancasse sul mondo.
Abbiamo respirato l’emergenza degli elementi. Abbiamo costruito una Comune di nervi, sorrisi, tepori. Non potevamo avere indugi. Non ci saranno compiacimenti.
Quando io ti parlo di rapporti materiali – base di ogni dinamica tra i viventi –, penso alla materia che cerca una dimora nei rapporti, che entra di soppiatto senza bussare e che è già qui, carne, legno tenero, impulso ad accogliere, ad unire, al di là di ogni idea d’unione.
Materia non è la mineralizzazione dei viventi ordita dal capitale. Materia è la gratuità dell’esistente, il gioco che uccide i valori, il corpo molteplice e senza fine che procede imperterrito di principio in principio.
«È un uomo o una pietra o un albero che si accinge ad iniziare il quarto canto.», Lautréamont.
21-22 giugno 2012. Frammento confluito in Ques’amante che si chiama verità (Gwynplaine, 2014).
[Illustrazione: Clovis Trouille, Justine, 1937, olio su tela]