Breve nota di Deleuze e Guattari sul Maggio ’68, pubblicata originariamente in rivista nel 1984, dunque prima che cadesse il muro di Berlino. Appare per questo superata in gran parte, nonché forzatamente semplicistica su alcune questioni “tattiche” fondamentali (pacifismo? Per farne cosa? Non sono forse agglutinabili dei “piani di consistenza” a partire da rotture di natura insurrezionale? Non è più pensabile una deterritorializzazione antipolitica e rivoluzionaria?). Detto questo, rimane condivisibile l’esortazione finale a realizzare una nuova creatività, un nuovo flusso di trasformazioni, in modo da riattivare e generalizzare quelle aperture verso nuovi campi del possibile balenate nel Maggio ’68 e, a mio avviso, molto più potentemente, in certi aspetti del ’77 italiano.
In fenomeni storici come la rivoluzione del 1789, la Comune, la rivoluzione del 1917, c’è sempre una parte di evento, irriducibile ai determinismi sociali, alle serie causali. Gli storici non amano molto quest’aspetto: ripristinano quindi la causalità a cose fatte. Ma l’evento stesso è uno sganciamento, una rottura rispetto alla causalità: è una biforcazione, una deviazione in rapporto alle leggi, uno stato instabile che apre un nuovo campo di possibili. Nell’ambito della fisica, Prigogine ha parlato degli stati in cui le differenze minime si propagano anziché annullarsi e in cui dei fenomeni affatto indipendenti entrano in risonanza, in congiunzione. In tal senso, un evento può essere ostacolato, represso, recuperato, tradito, e nondimeno ne resta sempre qualcosa d’insuperato. Solo i rinnegati sostengono che è sorpassato. Per quanto vecchio, l’evento non si lascia superare: è apertura di un possibile. S’insinua sia all’interno degli individui, sia tra le maglie della società.
I fenomeni storici che abbiamo menzionato erano pur sempre accompagnati da determinismi o causalità, benché di natura diversa rispetto ad essi. Il Maggio 68 appartiene invece all’ordine degli eventi puri, liberi da ogni causalità normale o normativa. La sua storia è una “successione di instabilità e fluttuazioni amplificate”. Si ebbero nel 68 numerose agitazioni, gesticolazioni, parole d’ordine, idiozie, illusioni, ma non è questo ciò che conta. Ciò che conta è che fu un fenomeno di veggenza, come se un’intera società vedesse all’improvviso ciò che conteneva d’intollerabile e vedesse anche la possibilità di ben altro. È un fenomeno collettivo all’insegna del: «Datemi del possibile, altrimenti soffoco!». Il possibile non è pre-esistente, viene creato dall’evento. È una questione di vita. L’evento crea una nuova esistenza, produce una nuova soggettività (nuovi rapporti con il corpo, il tempo della sessualità, l’ambiente, la cultura, il lavoro…).
Marginalizzato o caricaturale…
Quando si manifesta un mutamento sociale, non basta saperne trarre conseguenze o effetti in base a linee di causalità economiche o politiche. Bisogna che la società sia capace di creare concatenamenti collettivi corrispondenti alla nuova soggettività, in modo da farle volere il cambiamento. Si tratta di una vera e propria “riconversione”. Il New Deal americano e il boom giapponese furono esempi, assai diversi fra loro, di riconversione soggettiva, beninteso con ogni sorta di ambiguità e persino di strutture reazionarie, ma anche con la loro parte di iniziativa e di creatività atte a costituire un nuovo stato sociale in grado di rispondere alle esigenze dell’evento. In Francia, al contrario, dopo il 68 i poteri non hanno mai smesso di vivere con l’idea che “le cose si sarebbero sistemate.” In effetti, le cose si sono sistemate, ma in modi catastrofici. Il Maggio 68 non fu né la conseguenza di una crisi, né la reazione ad una crisi. Vale piuttosto il contrario. È la crisi attuale, sono le impasse della crisi attuale, a derivare direttamente dall’incapacità della società francese nell’assimilare il Maggio 68. La società francese ha mostrato una radicale impotenza nell’operare una riconversione soggettiva a livello collettivo, almeno nel modo in cui il 68 l’esigeva: per cui, come si potrebbe procedere attualmente ad una riconversione economica in grado di soddisfare le condizioni della “sinistra”? La società francese non ha mai saputo proporre nulla alla gente: né in ambito scolastico, né in quello lavorativo. Ogni novità è stata marginalizzata o resa caricaturale. Oggi vediamo la gente di Longwy aggrapparsi al proprio acciaio, i produttori di latte alle proprie vacche, ecc: cos’altro possono fare, dal momento che ogni concatenamento di una nuova esistenza, di una nuova soggettività collettiva, è stato schiacciato dalla reazione contro il 68, a sinistra quasi quanto a destra? Persino dalle radio libere. Il possibile è stato impedito tutte le volte.
I figli del Maggio 68 li si può incontrare un po’ ovunque; spesso non sanno di esserlo e ogni paese ne produce a modo suo. La loro situazione non è delle più rosee. Non sono dei giovani quadri. Stranamente indifferenti, sono tuttavia al corrente di ciò che accade. Hanno smesso di essere esigenti o narcisisti, ma sanno bene che non c’è nulla al momento che corrisponda alla loro soggettività, al loro potenziale di energia. Sanno anche che al giorno d’oggi ogni riforma va semmai contro di loro. Finché possono, sono decisi a farsi il più possibile i fatti loro. Mantengono un’apertura, un possibile. Coppola ne ha fatto un ritratto poetizzato nel film Rusty James; l’attore Mickey Rourke spiega: «Il mio è un personaggio in bilico, sul filo. Non è del genere Hell’s Angel. Ha cervello, e in più ha buon senso. Un misto di cultura che viene dalla strada e dall’università. Ed è proprio questa miscela che lo fa impazzire. Non vede prospettive. Sa che non esiste alcun mestiere per lui, perché sarà sempre più sveglio di qualsiasi tipo pronto ad assumerlo…» (Libération, 15 febbraio 1984).
La soluzione può essere solo creativa
Ciò vale per il mondo intero. Quel che si istituzionalizza, a proposito di disoccupazione, pensioni, scuola, sono le “situazioni di abbandono” controllate, aventi per modello quelle degli handicappati. Le attuali e uniche riconversioni soggettive, a livello collettivo, sono quelle di uno sfrenato capitalismo all’americana, oppure di un fondamentalismo islamico come in Iran, o di religioni afro-americane come in Brasile: immagini contrapposte di un nuovo integralismo (cui andrebbe aggiunto il neo-papismo europeo). L’Europa non ha niente da proporre e la Francia sembra avere la sola ambizione di assumere il comando di un’Europa americanizzata e super-armata, che imporrebbe dall’alto la riconversione economica necessaria. Il campo dei possibili è però altrove: seguendo l’asse est-ovest, il pacifismo, nella misura in cui intende rompere le relazioni di conflitto, di corsa agli armamenti, ma anche di complicità e suddivisione fra Stati Uniti ed Unione Sovietica. Seguendo l’asse nord-sud, un nuovo internazionalismo, non fondato soltanto su un’alleanza con il Terzo Mondo, ma anche sui fenomeni di terzomondializzazione in corso negli stessi paesi ricchi (si pensi all’evoluzione delle metropoli, alla degradazione dei centri urbani e all’ascesa di un Terzo Mondo europeo come teorizzato da Paul Virilio). La soluzione può essere solo creativa. Sono solo queste riconversioni creative che possono contribuire a risolvere la crisi attuale e a rilanciare un Maggio generalizzato, una biforcazione o una fluttuazione amplificata.
— Gilles Deleuze et Félix Guattari, «Mai 68 n’a pas eu lieu», Les Nouvelles littéraires, 3-9 maggio 1984, ripreso in: Deux régimes de fous, éditions de Minuit, Paris, 2003. Traduzione di Carmine Mangone.