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Frammento tratto da Così perdutamente umani. Illustrazione della pittrice surrealista Remedios Varo (“Creacion de las Aves”, 1957).

Creacion de las Aves - 1957 Remedios Varo

Di ciò che muta senza variare il cuore delle cose. Avevo sentito che. La grana stessa della pelle. Non poteva esimersi dal farti strada. Volevo vestirla con un pensiero a macchia di leopardo, agghindare l’insufficienza del corpo con un sorriso che non fosse il mio. Troppo facile combattere da soli contro se stessi. Il tuo volto sommerso, inquieto, di stella fragile nelle notti ventose. La tua lenta emersione dal fondo del cielo. Acqua che può essere coagulata, donata a tutte le cose – alla terra, alla terra estrema – e non di lacrime, no, ma di pioggia radicale e senza remissione, sotto la quale finiamo per inzupparci fino alle ossa e ben felici poi d’asciugarci l’uno dentro l’altra, alito con alito, sguardo dopo sguardo – fuochi comunicanti che accarezzano i giorni e assediano le paure, coda di cometa, coda d’incendio. Il modo dell’acqua e quello del fuoco appartengono alla stessa natura, si rivelano alleati dell’amore, ma non hanno una forma su cui giurare, non si accoppiano con le mani dell’uomo. Posso dare un nome ad ogni cosa, impregnarti le labbra con tutti i nomi del mondo, ma non lascerò che ci si perda nel paradiso abusivo delle definizioni. Divenendo il seme della rosa carnale, l’uomo che sono stato incontra l’uomo che sarò, il che non va inteso simbolicamente. Passando sul ventre delle parole, ti scaldo le mani senza deviarne le linee. Nel grido delle gemme, l’albero sussulta.

27 novembre 2010



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