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capitale culturale, controinformazione, Dave McKean, giornalismo, giornalisti, informazione, teoria
Avevo in mente già da tempo una cosa del genere: concedermi dieci minuti ogni tanto per scrivere una sorta di “compendio”, di dizionario mangoniano. Bisogno ludico che era emerso qualche mese fa, quando avevo finito di scrivere i miei saggi per le recenti riedizioni di Vaneigem. Ma sinceramente non so dove arriverò, né quali e quante “voci” scriverò. A dirla tutta, non mi pongo neanche il problema. Scrivo per provare concetti, limare frammenti teorici. Il resto è banale cultura. P.S.: se avete “lemmi” o concetti o altro da proporre, fatevi avanti. [La foto è di Dave McKean].
Giornalismo. Pratica dello scrivere a proposito di eventi e personaggi umani, la quale si pone al servizio di un padrone o di un’ideologia con l’obiettivo cosciente, e spesso inconfessabile, di un consumo immediato (“giornaliero”) della propria scrittura ai fini di una valorizzazione di sé – come scrivente salariato o fintamente autonomo – e del canale comunicativo che si va utilizzando: giornale quotidiano, blog, ecc. Le idee del giornalista sono asservite, coscientemente o no, all’allargamento del consenso intorno alla propria scrittura e al proprio canale; diventano merce informazionale, culturale, e si scambiano astrattamente tra loro in quanto capitale culturale e immateriale. L’equivalente generale che fa da unità di scambio (spesso effimera, “quotidiana”) è l’opinione dominante, ossia il flusso corrente delle credenze di massa intorno all’oggetto della scrittura. Nell’ambito giornalistico, la verità è un optional; conta la pertinenza con le idee già pensate e accettate dal potere, nonché l’adesione a opinioni e simboli che sviluppano incessantemente l’informazione in quanto elemento di virtualizzazione e potenziamento del capitale. Sottogenere del giornalismo è la cosiddetta controinformazione, soprattutto quando essa non contribuisce a costruire una teoria rivoluzionaria dentro il movimento materiale dei rapporti tra le diverse forme di vita, limitandosi vieppiù a fornire (spesso gratuitamente) elementi di valorizzazione in pasto al mercato dell’informazione. La teoria è trasposizione in concetti, idee e parole della vita collettiva che emerge e si afferma contro i propri vincoli, mentre l’informazione è il dato bruto che si limita a opinioni (anche spettacolarmente “alternative”) da capitalizzare dentro il mondo dei segni.
E se il “mi piace” arriva da un giornalista…
…significa allora che ho una sorta di cavallo di Troia (almeno in potenza).
Riflettevo intanto sull’inevitabile riduzionismo della mia nota. Avrei potuto allargare il discorso, e farlo in maniera più radicale, scrivendo a proposito di un diffuso opinionismo – sviluppo 2.0 e di massa del giornalismo mainstream. Ma tant’è. Questo mio “dizionario” in progress rimane al momento soprattutto un allenamento del pensiero; una serie di illazioni per alimentare i cattivi pensieri.
Creativo [s.m. dall’aggettivo “creativo”]
Chi svolge o cerca di svolgere un’attività intellettuale e vende un prodotto immateriale al fine di mantenere o ampliare l’illusione mercantile.
Chi crea o cerca di creare un sistema di valori tanto coerente al suo interno quanto distaccato dalla realtà a cui si riferisce il sistema stesso (il prodotto o il servizio).
Chi trasforma o cerca di trasformare un bisogno animale, una pulsione interiore, un sentimento emozionale in una azione di mercato da parte di chi “sente”.
Chi connette o cerca di connettere in maniera strettissima il possesso di un prodotto o servizio al soddisfacimento dei suddetti bisogni, sentimenti e pulsioni.
Chi inventa o cerca di inventare la narrazione del mercato, sfrutta ogni forma di linguaggio per portare il piano mitologico dentro la percezione culturale del possesso di qualcosa. Inventa una cultura di riferimento laddove prima c’era solo un bene, differenzia l’indifferenziato, segmenta ciò che rimane unito e unico: il mercato.
Chi lavora senza orari fissi, senza per questo emanciparsi dal lavoro, bensì trasformando il tempo della vita in tempo d’ideazione e creazione, ossia in tempo lavorativo.
Chi dà priorità all’effetto sensazionale del significante piuttosto che alla comprensione del significato.
Chi scava dentro la parola come un tarlo, lasciando solo l’esterno, la fragilità luccicante di un esoscheletro significante.
Chi s’illude dell’illusione che crea.
Se il mio “giochino” genera simili rasoiate, vuol dire che mi toccherà insistere. Peraltro, in diversi punti, tu anticipi molte delle critiche che farò mie (il che è inevitabile) quando affronterò temi più circoscritti.