Questo breve testo (“Vamos hacia la vida”), fu scritto dal rivoluzionario messicano Ricardo Flores Magón a San Francisco, nel luglio del 1907, e pubblicato lo stesso mese a Los Angeles sul periodico Revolución. Comparve poi successivamente sul n. 5 di Regeneración, del 1° ottobre 1910.
Noi rivoluzionari non inseguiamo una chimera: inseguiamo la realtà. Il popolo non prende più le armi per imporre un dio o una religione, gli dèi marciscono nei libri sacri; le religioni si disfano tra le ombre dell’indifferenza. Il Corano, i Veda, la Bibbia, non rifulgono più: tra le foglie ingiallite agonizzano gli dèi tristi come il sole in un crepuscolo invernale.
Noi andiamo verso la vita. Ieri era il cielo l’obiettivo dei popoli: oggi è la terra. Niente più mani ad impugnare le lance dei cavalieri. La scimitarra di Alì giace nelle vetrine dei musei. Le orde del Dio di Israele si dicono atee. La polvere dei dogmi va scomparendo allo spirare degli anni.
I popoli non si ribellano più perché preferiscono adorare un dio anziché un altro. I grandi sconvolgimenti sociali aventi origine nella religione sono stati pietrificati dalla storia. La Rivoluzione francese conquistò il diritto di pensare, ma non il diritto di vivere, e per acquisire un tale diritto vanno muovendosi gli uomini coscienti di tutti i paesi e di tutte le razze.
Tutti hanno il diritto di vivere, dicono i pensatori, e questa dottrina umana ha raggiunto il cuore della gleba come una rugiada benefica. Vivere, per l’uomo, non significa vegetare. Vivere significa essere liberi e felici. Quindi, abbiamo tutti il diritto alla libertà e alla felicità.
La disuguaglianza sociale, in teoria, morì al perire della metafisica per mano del pensiero ribelle. È necessario però che muoia in pratica. Verso questo fine, sono indirizzati gli sforzi di tutti gli uomini liberi della terra.
Pertanto, i rivoluzionari non inseguono una chimera. Noi non lottiamo per delle astrazioni, ma per delle materialità. Vogliamo terra per tutti, pane per chiunque. Dal momento che deve necessariamente scorrere del sangue, che si ottengano conquiste che vadano a beneficio di tutti e non di una determinata casta sociale.
Ecco perché le folle ci danno ascolto; ecco perché la nostra voce raggiunge le masse, le agita, le desta; ecco perché, sebbene poveri, siamo in grado di sollevare un popolo.
Siamo la plebe, ma non la plebe dei Faraoni, inaridita e dolente, né la plebe dei Cesari, abietta e servile, né la plebe che applaude al passaggio di Porfirio Diaz. Siamo la plebe che si ribella al giogo; siamo la plebe di Spartaco, siamo la plebe che dichiara l’uguaglianza insieme a Müntzer, la plebe che abbatte la Bastiglia con Camille Desmoulins, la plebe che brucia Granaditas con Hidalgo, siamo la plebe che sostiene la Riforma con Juarez.
Siamo la plebe che si risveglia in mezzo alla babele degli infermi e lancia ai quattro venti, come un tuono, questa frase formidabile: Tutti hanno il diritto di essere liberi e felici! E la gente, che non si aspetta più che la parola di Dio scenda dal Sinai scolpita su tavole di pietra, ci ascolta. Sotto la stoffa più grossolana s’infiammano i cuori leali. Nelle nere porcilaie, dove si ammassano e marciscono quelli che fabbricano la felicità di chi sta in alto, arriva un raggio di speranza. Arando il campo il contadino povero medita. Nel ventre della Terra, il minatore ripete la frase ai compagni di catene. Ovunque si sente l’anelito di chi si ribella. Nel buio, mille mani nervose accarezzano l’arma e mille petti impazienti considerano secoli i giorni in cui non riecheggia il grido umano di ribellione!
La paura fugge dai petti: solo i vili la provano. La paura è un pesante fardello, gettato via dai coraggiosi che hanno vergogna ad esser bestie da soma. I pesi obbligano a curvarsi, mentre i coraggiosi vogliono andare eretti. Se si deve sopportare un peso, che sia un peso degno di titani; che sia il peso del mondo o di un universo di responsabilità.
Sottomissione! è il grido dei vigliacchi! Rivolta! è il grido degli uomini. Lucifero, un ribelle, è più degno dello sbirro e sottomesso Gabriele.
Fortunati i cuori che si radicano nella protesta. Indisciplina e ribellione!, fiori magnifici non adeguatamente coltivati.
I timorati impallidiscono dalla paura e gli uomini seri si scandalizzano al sentire le nostre parole; i timorati e gli uomini responsabili di domani le applaudiranno. I timorati e i seri di oggi, che adorano Cristo, furono gli stessi che ieri lo condannarono e lo crocifissero come ribelle. Coloro che oggi erigono statue agli uomini di genio, sono gli stessi che ieri li processarono, li misero in catene o li bruciarono sul rogo. Coloro che torturarono Galileo esigendo la sua ritrattazione, oggi lo glorificano; coloro che bruciarono vivo Giordano Bruno, oggi lo ammirano; le mani che tirarono la corda che impiccò John Brown, il generoso difensore dei neri, furono le stesse che in seguito ruppero le catene della schiavitù con la guerra di secessione; coloro che ieri condannarono, scomunicarono e degradarono Hidalgo, oggi lo venerano; le mani tremanti che portarono la cicuta alle labbra di Socrate, oggi scrivono lacrimevoli apologie di questo titano del pensiero.
Ogni uomo – dice Charles Malato – è sempre un reazionario o un rivoluzionario per qualcun altro.
Per i reazionari – gli uomini seri di oggi – noi siamo rivoluzionari; per i rivoluzionari di domani, le nostre azioni saranno state quelle di uomini seri. Le idee dell’umanità variano sempre andando verso il progresso, ed è assurdo pretendere che esse siano immutabili come le figure delle piante e degli animali impresse tra gli strati geologici.
Però se i timorati o gli uomini seri impallidiscono o si scandalizzano per la nostra dottrina, i servi prendono coraggio. I volti abbrutiti da miseria e dolore vengono trasfigurati; le loro guance non sono più solcate dalle lacrime; le facce si umanizzano, anzi, ancor meglio, esse si divinizzano, animate dal sacro fuoco della ribellione. Quale scultore ha mai scolpito un eroe brutto? Quale pittore ha lasciato sulla tela la figura di un eroe deforme? C’è una luce misteriosa che avvolge gli eroi e li rende abbaglianti. Hidalgo, Juárez, Morelos, Saragozza, abbagliano come soli. I greci collocavano i loro eroi tra i semidei.
Noi andiamo verso la vita, il che incoraggia i poveri, risveglia il gigante e non fa indietreggiare i prodi. Dall’Olimpo, costruito sulle pietre di Chapultepec, un Giove da commedia mette una taglia sulla testa dei combattenti; le sue mani rugose firmano sentenze da cannibale; i suoi capelli bianchi si rizzano come i peli di un lupo rabbioso. Disonore dell’anzianità, questo vecchio perverso si aggrappa alla vita con la disperazione di un naufrago. Ha preso la vita di migliaia di uomini e lotta a braccetto con la morte per non perdere la sua.
Non importa; i rivoluzionari vanno avanti. L’abisso non ci ferma: l’acqua è bellissima quando si diffonde.
Se moriremo, allora moriremo come soli: diffondendo luce.