Senza l’ossidazione dei corpi al contatto con l’idea
non si avrebbe alcuna esplosione.
Occorreva quindi mantenersi in uno spazio d’aria.
Ma badate,
tutto questo non è frutto di chissà quali alchimie,
si tratta piuttosto della vita acerrima,
di quella cosa che si chiama «vita» perché ha finito per ingoiare tutti gli
altri nomi.
Avevo già deciso di morire un’altra volta,
quando mi accadde la tua pelle.
Il modo in cui il desiderio – questa piccola talpa indecorosa –
si serve di certi panorami carnali,
mi appare ogni volta come un degno trivellamento contro la
superficialità del tempo.
Questo sabotaggio felice della normalità che neghiamo.
Questa mangrovia di pensiero che dalle nostre labbra arriva a
punteggiare il fluire dei mondi.
Nessun freno, beninteso, nessun punto finale,
anzi un punteggiamento,
un far segno all’idea,
un accettare il temibile pur di saperlo,
portandolo all’altezza dello stomaco, dell’utero, dell’osso iliaco,
in una trama di complicità tra punto e punto.
Rimane sì l’indefinito,
in nome del quale noi confidiamo nella
puerile esasperazione del possibile,
ma siccome il chiaro si è tramutato nella ragione dell’oscuro,
il nostro problema è diventato la soluzione.
– Ogni amore non ha forse come suo scopo ultimo la creazione di un cuore comune e
la sua messa a dimora nell’immediato, nel movimento?
Tarda mattinata del 24 giugno 2013. Illustrazione di Kayle Whitham.