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Abécédaire, Claire Parnet, concatenamenti, costruttivismo, delirio, desiderio, deterritorializzazione, enunciati, Félix Guattari, filosofia, Freud, Gilles Deleuze, inconscio, Jung, L'Anti-Edipo, maggio 1968, muta, piccolo Hans, psicoanalisi, territorio
L’Abécédaire de Gilles Deleuze è un programma televisivo prodotto e girato nel 1988 da Pierre-André Boutang, il quale montò insieme circa otto ore di conversazioni tra il filosofo francese e Claire Parnet. Andò in onda per la prima volta sul canale Arte nel 1996, dopo il suicidio di Deleuze.
I temi affrontati nell’abbecedario deleuziano sono 25, uno per ogni lettera dell’alfabeto.
Qui di seguito propongo un mio adattamento in italiano della voce dedicata alla D e al tema del “desiderio”. N.B.: in fondo al presente articolo, trovate il video in francese.
(…) Non esiste concetto filosofico che non rimandi a determinazioni non filosofiche. È qualcosa di molto semplice, di estremamente concreto. [Io e Guattari, a proposito dell’Anti-Edipo] volevamo dire la cosa più semplice del mondo: finora si è parlato di desiderio in modo astratto perché è stato isolato un oggetto che si suppone essere l’oggetto del desiderio, e allora si può dire “desidero una donna, desidero partire in viaggio, desidero questo o quello…”. E noi dicevamo una cosa davvero semplice: voi non desiderate mai davvero qualcuno o qualcosa. Voi desiderate sempre un insieme. Non è complicato. E noi ponevamo una questione: qual è la natura dei rapporti tra gli elementi perché ci sia desiderio, perché diventino desiderabili? Io non desidero una donna… Quasi mi vergogno a dire certe cose… Proust l’ha detto e in modo bello: io non desidero una donna, io desidero anche il “paesaggio” che è contenuto in quella donna, un paesaggio che forse neanche conosco, ma che intuisco, e finché non ho sviluppato questo paesaggio che l’avviluppa io non sarò contento, cioè il mio desiderio non sarà compiuto, resterà insoddisfatto. Qui prendo ad esempio un insieme a due termini: la donna e il paesaggio, ma è ben altro. Quando una donna dice “desidero un vestito, desidero questo o quel vestito, quella camicetta…”, è evidente che non li desidera in astratto. Li desidera nel proprio contesto, nel proprio contesto di vita per come lei lo organizza. Li desidera non solo in relazione ad un “paesaggio”, ma a delle persone, che possono essere suoi amici o meno, o alla sua professione, ecc. Non si desidera mai qualcosa di isolato. Per di più, non desidero neanche un insieme, desidero in un insieme. (…) In altre parole, non c’è desiderio che non scorra – proprio così: che non scorra – in un concatenamento. Dunque, per me il desiderio è sempre stato… Se cerco il termine astratto corrispondente a desiderio, è costruttivismo. Desiderare è costruire un concatenamento, costruire un insieme. L’insieme formato da una gonna, un raggio di sole, una strada… il concatenamento di una donna, di un paesaggio, di un colore. Ecco cos’è il desiderio. E costruire un concatenamento, significa costruire una regione; significa davvero concatenare. (…) Il concatenamento è un fenomeno fisico, è come una differenza. Perchè accada qualsiasi evento c’è bisogno di una differenza di potenziale e ci vogliono due livelli, bisogna essere in due, allora accade qualcosa. Un lampo o un ruscelletto, e siamo nel dominio del desiderio. Un desiderio è costruire. Tutti noi passiamo il tempo a costruire. Per me quando qualcuno dice “desidero la tal cosa”, significa che sta costruendo un concatenamento. Il desiderio non è nient’altro. (…) Io e Félix nutrivamo un’ostilità, volevamo reagire contro le concezioni dominanti del desiderio, le concezioni psicoanalitiche. Dovevamo elaborare una concezione costruttiva e costruttivista del desiderio. Gli psicoanalisti parlano di desiderio proprio come se fossero dei preti. Gli psicoanalisti sono preti. Ne parlano come di un grande lamento della castrazione. La castrazione è peggio del peccato originale, è una specie di spaventosa maledizione sul desiderio. Cosa abbiamo cercato di fare con l’Anti-Edipo? Vi sono tre punti di opposizione diretta alla psicoanalisi. Tre punti su cui, né io né Félix, abbiamo niente da aggiungere. Crediamo che l’inconscio non sia un teatro, un luogo dove Edipo e Amleto recitano perennemente la loro parte. Non è un teatro, bensì una fabbrica; è una produzione. L’inconscio produce. Funziona come una fabbrica ed è l’esatto contrario della visione psicoanalitica dell’inconscio come teatro dove si recita all’infinito il ruolo di Amleto o Edipo. Il secondo tema è il delirio, strettamente legato al desiderio, poiché desiderare è, in un certo modo, delirare. Se si prende un qualsiasi delirio, lo si guarda, lo si ascolta da vicino, ci si accorge che non ha niente a che vedere con ciò che pensa la psicoanalisi; non si delira sul padre o la madre, ma su tutt’altro. Il delirio – è il suo segreto – concerne il mondo intero. Si delira sulla storia, la geografia, le tribù, il deserto, i popoli, le razze, il clima… Su questo si delira. Il mondo del delirio è: “sono una bestia, sono un negro” (Rimbaud). “Dove sono le mie tribù, come disporle, come sopravvivere nel deserto”, ecc. Il delirio è geografico-politico, mentre la psicoanalisi lo riconduce ogni volta a determinazioni familiari. Su questo, io posso dire, anche dopo tanti anni di distanza dall’Anti-Edipo, che la psicanalisi non ha mai capito niente sul fenomeno del delirio. Si delira il mondo, non la propria famiglia. (…) Il terzo punto è che il desiderio si stabilisce sempre in un concatenamento e costruisce sempre dei concatenamenti, mette sempre in gioco più fattori. E la psicanalisi insiste nel riportarlo ad un solo fattore, sempre lo stesso: il padre, la madre, il fallo, ecc., ignorando completamente il molteplice, il costruttivismo, i concatenamenti. Per fare degli esempi… parlavamo prima degli animali. Per la psicoanalisi, l’animale è un’immagine del padre. Il cavallo è l’immagine del padre. Ci prendono per scemi. Penso all’esempio del piccolo Hans, un bambino di cui si è occupato Freud. Egli assiste, in strada, alla caduta di un cavallo e al barrocciaio che lo frusta. Il cavallo stramazza, scalcia… Prima dell’avvento dell’automobile, era uno spettacolo frequente per strada e doveva essere impressionante per un ragazzo: il vedere per la prima volta un cavallo stramazzare in strada e un cocchiere mezzo ubriaco prenderlo a frustate per farlo rialzare. Doveva essere un’emozione… Era l’emergere della strada, la scoperta della strada, la strada come evento, anche cruento. Poi sentiamo parlare gli psicanalisti, con l’immagine del padre, ecc. Ma è il loro cervello che non funziona… Il desiderio concerne un cavallo che cade, che viene frustato, un cavallo che muore per strada, ecc. È un concatenamento, un concatenamento fantastico per un ragazzino. È assolutamente sconvolgente. Per fare un altro esempio. Si parlava dell’animale. Cos’è un animale? Non c’è un solo animale, a rappresentare il padre. Gli animali stanno generalmente in una muta, sono una muta. C’è un caso che mi piace molto, in un testo che adoro, di Jung, che ha rotto con Freud dopo una lunga collaborazione. Jung racconta a Freud di aver fatto un sogno, di aver sognato un ossario e Freud non capisce assolutamente niente e gli ripete in continuazione che se ha sognato un osso ciò significa la morte di qualcuno. Jung insiste, dice che non parla del sogno di un osso, ma di un ossario. Freud non capisce, non coglie la differenza tra un osso e un ossario. Un ossario sono 100, 1000, 10.000 ossa. È una molteplicità, è un concatenamento; cammino in un ossario: cosa vuol dire? Dove passa il desiderio? Il concatenamento è sempre collettivo. Collettivo, costruttivismo, ecc., questo è il desiderio. Dove passa il mio desiderio? Fra queste migliaia di crani, di ossa… dove passa il mio desiderio nella muta? Qual è la mia posizione nella muta? Sono al di fuori, all’interno, accanto, al centro della muta? Sono tutti fenomeni di desiderio, sono il desiderio. (…) Si può dire che il delirio delira sulle razze, le tribù, i popoli, la storia, la geografia… A me sembra che [io e Félix] siamo stati del tutto conformi al ’68, cioè abbiamo portato un po’ d’aria pulita dove tutto era rinchiuso nei deliri pseudo-familiari. La gente ha capito cos’era questo delirio. Se mi metto a delirare, non è certo per farlo sulla mia infanzia o su qualche faccenda privata. Il delirio è cosmico. Si delira sulla fine del mondo, sulle particelle, sugli elettroni, non certo su papà e mamma. (…) [i controsensi dell’esperienza di Vincennes] consistevano in due cose, due casi che poi si riducono allo stesso: c’erano quelli che pensavano che il desiderio fosse lo spontaneismo e altri che pensavano che il desiderio fosse “far festa”. Per noi non era né l’uno né l’altro, ma non aveva una grande importanza, perché c’erano comunque dei concatenamenti che si formavano. Anche i matti… ce ne erano tanti e di tutti i tipi… Faceva parte di ciò che stava accadendo allora a Vincennes. Ma i matti avevano la loro disciplina, facevano i loro discorsi, i loro interventi. Entravano anch’essi in un concatenamento, avevano il proprio concatenamento. Vi era una specie di astuzia, di comprensione, di grande benevolenza per i matti. In pratica, si formavano e si scioglievano dei concatenamenti, e teoricamente il controsenso stava nel ridurre il desiderio alla spontaneità o al “far festa”. Ma non era questo. La “filosofia del desiderio” consisteva unicamente nel dire alla gente: non andate a farvi psicoanalizzare, non interpretate mai, sperimentate concatenamenti, cercate quelli che più vi si addicono. Allora che cos’è un concatenamento? Per me, e Félix non la pensava diversamente, c’erano quattro componenti del concatenamento, ma il numero preciso non conta. Un concatenamento rimandava a stati di cose diversi: ciascuno trovi lo stato di cose che gli conviene (…) Altra dimensione dei concatenamenti: gli enunciati, alcuni tipi di enunciato. Ognuno ha il suo stile, il suo modo di parlare. Nel bar per esempio ci sono degli amici, c’è un modo di parlare con loro… parlo del bar, ma vale per qualsiasi altra cosa… Dunque un concatenamento implica stati di cose ed enunciati, stili di enunciazione. È una cosa molto interessante. La storia è l’effetto di ciò. Quando appare un nuovo tipo di enunciato? Per esempio, nella rivoluzione russa, gli enunciati di tipo leninista, quando appaiono? Come? In che forma? Quando sono apparsi i primi enunciati del ’68? È molto complesso. Insomma, ogni concatenamento implica degli stili di enunciazione e, in più, dei territori. Ognuno ha il suo territorio. Anche in una stanza si sceglie il proprio territorio. Quando entro in una stanza che non conosco, cerco il territorio, cioè il posto dove mi sento più a mio agio. E poi ci sono dei processi che dobbiamo chiamare di deterritorializzazione, cioè il modo in cui si esce dal territorio. Direi che un concatenamento comprende queste quattro dimensioni: stati di cose, enunciazioni, territori, movimenti di deterritorializzazione. E lì scorre il desiderio.
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una prospettiva affascinante anche per la poesia, in fondo anche ogni grande testo poetico è un insieme (molto coerente in tutte le parti) che sta in cima o alla fine di una pulsione/tensione desiderante da condividere con un altro da sé…
Sì, sono d’accordo. Ogni elemento poetico – e non necessariamente un testo – innesca un concatenamento, sottolinea una relazione, territorializza o deterritorializza le tensioni (le “differenze di potenziale”) che emergono con esso.