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bufale, carabinieri, controinsurrezione, esercito, EUROGENDFOR, forze armate, hoax, microinsurrezione, rapporto NATO, Trattato di Velsen, Urban Operations in the Year 2020, USECT
Dacché mondo è mondo, ciò che viene chiamato esercito, ossia l’insieme delle forze armate create e gestite dallo Stato per la risoluzione violenta delle questioni internazionali (e non direttamente per compiti di polizia interna), ha sempre conservato anche una valenza controinsurrezionale.
Difatti, oltre ad intervenire nella risoluzione armata delle controversie tra gli Stati, l’esercito viene impiegato molto spesso nella repressione di tutti quei movimenti socio-politici interni, a carattere più o meno rivoluzionario, che mettano seriamente a repentaglio l’ordine e la stabilità dello Stato.
Le forze militari terrestri conservano da sempre, invariabilmente, il ruolo di ultimo baluardo contro l’emergere di forti movimenti sociali sovversivi, passando da forme di vero e proprio crumiraggio, volte ad attutire o ad annullare gli effetti di scioperi in aree cruciali (tipo i trasporti), fino ad interventi diretti in scenarî di guerriglia urbana (chi ha dimenticato i cingolati M113 per le strade di Bologna l’11 marzo 1977?).
Non può quindi sconcertare più di tanto il rapporto “Urban Operations in the Year 2020”, reperibile online dall’aprile 2003 e sviluppato da un organismo della NATO denominato The Research and Technology Organisation (RTO).
Il documento in questione era già stato preceduto, nel 1999, da un’analisi sull’evoluzione dei conflitti locali (“Land Operations in the Year 2020”), dove s’invitavano le forze della NATO a sviluppare conoscenze e a variare le proprie forme d’ingaggio militare adeguandosi all’estrema mutabilità degli scenari possibili, ormai molto spesso di natura urbana, nonché aprendosi alle nuove opportunità tecnologiche.
Lo stile di certi passaggi è curiosamente imbevuto di elementi che sembrano provenire dal pensiero post-strutturalista: «Lo spazio di battaglia dell’anno 2020 sarà variabile in densità, non-lineare e più disperso. Sarà di natura cellulare, multidirezionale e sempre più determinato da elementi aerei e spaziali che si trovano al disopra del campo di battaglia. L’ambiente urbano sarà l’ambiente di conflitto più difficile, ma allo stesso tempo il più probabile». In un contesto così delineato, si sottolinea la centralità di una razionalizzazione dell’interoperabilità delle forze NATO, dato anche l’allargamento seguìto al crollo del Patto di Varsavia, e, in particolare, da un punto di vista strettamente operativo, si caldeggia il dominio sull’informazione, una maggiore capacità tecnologico-militare e una ottimizzazione della logistica. Alcune branche tecnologiche sono considerate d’importanza cruciale: «le tecnologie elettriche ad alta potenza, le armi ad energia diretta [ad es. laser, microonde, ecc. ; NdC], le tecnologie informatiche, le tecnologie delle telecomunicazioni, le tecnologie per la guerra elettronica e dell’informazione, i dispositivi elettronici, la biotecnologia, le tecnologie delle strutture e dei materiali, i fattori umani e le interfacce uomo-macchina, le tecnologie d’attacco di precisione, l’automatizzazione e la robotica».
L’interesse degli esperti NATO verso gli scenari urbani non è affatto casuale: le aree metropolitane continuano a crescere senza posa e a catalizzare la conflittualità sociale e politica; i contingenti militari impegnati nelle missioni NATO si trovano sempre più spesso a dover operare in ambienti urbani dove vengono a cadere gli elementi tattico-strategici che erano tipici dei grandi conflitti bellici del Novecento (con tutte le incertezze del caso); inoltre, la complessità “umana” e sociale degli scenari urbani, nell’ottica di una salvaguardia spettacolare di quelli che sono i miti democratici fondativi di un organismo come la NATO, aumenta la problematicità degli interventi e rende necessaria una versatilità tattica contro i punti critici del “nemico”.
Non si tratta più di affrontare direttamente il “nemico”, ma di modellare le condizioni per migliorare e rendere più efficace il proprio ingaggio militare tattico.
E qui interviene il succitato rapporto del 2003, il quale fornisce una serie di indicazioni agli Stati membri adottando un concetto sviluppato dal Dipartimento americano della Difesa, ovvero l’USECT, acronimo che sta ad indicare le cinque fasi di gestione militare delle operazioni urbane: 1) conoscenza dell’ambiente e dei vari attori in gioco (“Understand”), il che significa saper individuare e valutare le infrastrutture fisiche principali, le specificità sociali politiche e culturali della popolazione, le modalità di circolazione e di controllo locale delle informazioni, la possibilità di creare o sviluppare forze “collaborazioniste”, ecc.; 2) “modellamento” del teatro d’operazioni (“Shape”), attraverso un efficace posizionamento e una rapida mobilità delle proprie risorse, capaci così di creare enclavi sicure per la popolazione civile e/o di isolare le forze nemiche (anche inibendo le loro potenzialità “culturali” e comunicative nei confronti dei civili); 3) ingaggio militare vero e proprio (“Engage”), che può spaziare da operazioni di combattimento su vasta scala a interventi umanitari nei confronti dei civili, ma che si pone come fine il raggiungimento degli obiettivi tattico-strategici prefissati a monte dell’azione; 4) consolidamento delle posizioni conquistate e progressiva disorganizzazione dell’avversario (“Consolidate”), soprattutto grazie all’instaurazione di poteri locali “amici” e al controllo sui piani di ricostruzione; 5) riconsegna dei meccanismi di controllo dell’area urbana alle autorità locali (“Transition”), con progressivo sganciamento del contingente militare impiegato.
È evidente che bisognerà dunque attendersi un sempre più mirato impiego di contingenti NATO anche nell’eventualità che un vasto movimento insurrezionale possa interessare uno Stato membro o un paese d’importanza strategica.
In Italia, a dire il vero, dagli anni Novanta in poi, c’è già stato per due volte un impiego dell’esercito in funzioni di ordine pubblico: l’operazione “Vespri siciliani” (1992-1998), che ha fatto seguito all’escalation di attentati mafiosi dei primi anni Novanta (l’ultimo dei quali fu quello ai danni del giudice Borsellino, il 19 luglio 1992), e l’operazione “Forza paris”, nel luglio 1992, in occasione del rapimento in Sardegna di Farouk Kassam. In Sicilia, si avvicendarono diverse decine di migliaia di militari, i quali coadiuvarono i 24.000 effettivi delle forze dell’ordine già presenti sull’isola in compiti come: il trasferimento di mafiosi dal carcere di Palermo ad altri istituti di pena italiani, la protezione di persone impegnate in prima linea nella lotta contro la mafia, la sorveglianza e la protezione di obiettivi sensibili, il pattugliamento dei quartieri cittadini, il rastrellamento del territorio, le perquisizioni domiciliari e l’istituzione di posti di blocco.
C’è anche da aggiungere che, nei prossimi anni, è già previsto un ridimensionamento e una razionalizzazione altamente tecnologica delle forze militari e di polizia. La Direttiva ministeriale in merito alla politica militare per l’anno 2013, sulla scia della cosiddetta spending rewiew, fissa infatti la riduzione a 170.000 militari entro il dicembre 2015 e a 150.000 entro il 2024 (cfr. punti 62-64). Faranno eccezione l’Arma dei Carabinieri e le Capitanerie di Porto, per le quali non sono previsti ridimensionamenti.
En passant, bisogna sottolineare che la medesima direttiva non parla assolutamente di un prossimo dispiegamento dell’esercito in funzione controinsurrezionale, contrariamente a quanto riportato da diverse fonti sul web. E basterebbe leggerla attentamente, per rendersene conto. Gli unici passaggi che potrebbero adombrare una tale interpretazione sono davvero lontani dall’essere una chiara disposizione in merito: «(…) alla luce delle istanze che giungono dal paese, le Forze Armate devono tenersi pronte ad assicurare quel supporto tecnico e organizzativo che risulta decisivo in caso di particolari emergenze nazionali (…)», punto 30; e ancora: «(…) l’intervento in supporto alla gestione di calamità naturali o alla sicurezza interna contribuisce anche ad una più acuta percezione della realtà militare da parte dell’opinione pubblica (…)», punto 47 (nella direttiva si raccomanda una nuova politica comunicativa e persuasiva delle forze armate nei confronti dell’opinione pubblica, ecco spiegato quel riferimento ad una “più acuta percezione” di cui sopra).
E sempre a proposito di “bufale” circolanti su Internet, sfatiamo una volta per tutte la diceria di un prossimo scioglimento dell’Arma dei Carabinieri. Secondo molti opinionisti improvvisati, ciò sarebbe effetto della ricezione nell’ordinamento italiano del Trattato di Velsen, con il quale si istituisce la Forza di Gendarmeria Europea (EUROGENDFOR). Ebbene, se si leggesse attentamente il disposto del Trattato di Velsen e della legge italiana di ratifica, la n. 84 del 14 maggio 2010, ci si renderebbe conto facilmente che non è affatto previsto uno scioglimento dell’Arma, bensì un suo contributo diretto in fatto di uomini e risorse, visto che «la Forza di polizia italiana a statuto militare per la Forza di gendarmeria europea è l’Arma dei carabinieri» (art. 3 della legge 84).
Dunque, la “superpolizia” europea non mette in pericolo l’esistenza dei corpi di polizia militare dei paesi firmatari e dovrà comunque intervenire su specifico mandato e in seguito ad un accordo con l’organizzazione richiedente (art. 6 del Trattato di Velsen). Tra le organizzazioni che posso usufruire dei servigi dell’EUROGENDFOR, l’art. 5 elenca l’Unione Europea, l’ONU, l’OSCE e la NATO, ma parla anche di altre organizzazioni internazionali e di “coalizioni specifiche”. Ma al di là questo, preoccupanti sono semmai i privilegi e le immunità di cui l’EUROGENDFOR godrebbe una volta in azione. Per farsene un’idea, basta dare uno sguardo al Capo VII del Trattato di Velsen. [Che poi, ci sarebbe da chiedersi cosa farebbe di diverso, in funzione controinsurrezionale, questa fantomatica EUROGENDFOR, rispetto ad es. ad un qualsiasi esercito regolare. Credete forse che sarebbe necessariamente peggiore dei carabinieri di Dalla Chiesa che operarono contro il lottarmatismo brigatista negli anni Settanta o dei reparti che intervennero alla Diaz nel 2001?].
Detto questo, non ritengo ammissibile il perdersi in geremiadi o in critiche astratte e inconcludenti (quando non addirittura avulse dal corretto contesto socio-politico e giuridico di riferimento), soprattutto se esse provengono da ambienti sovversivi o pseudo-rivoluzionari.
Forse sarebbe il caso di comprendere, una volta per tutte, che oramai, passata la sbornia novecentesca, le opzioni sovversive sono sviluppabili soltanto su un terreno molto diverso da quello militare e militarista.
Certo, le barricate, i riots, le grandi manifestazioni pubbliche di dissenso, fanno scena, son cose belle, attraggono l’attenzione degli sfruttati, ma la rivoluzione prossima futura (evento o processo che sia) non consisterà più nella presa del Palazzo d’Inverno, nell’occupazione fisica di questa o quella piazza. Bisognerà saper creare una concreta alternativa, non solo economica, che possa separarci nell’immediato dalle strutture statali e capitaliste. Occorrerà radicalizzare senza posa le lotte intermedie, generalizzandole, diffondendole sempre più sul territorio e nella vita quotidiana, costruendo microinsurrezioni, relazioni gioiose, autoproduzione di cose, di rapporti, di singolarità – e annientando qui e ora il capitale e il potere che alberga nelle nostre vite, nelle nostre relazioni.
D’altronde, non ci si può fermare al godimento di un momento distruttivo o all’autogestione dell’esistente. Gran parte dell’esistente va distrutto, certo, ma ciò significa anche e soprattutto che ci dobbiamo già porre nell’ottica di coloro che dovranno ricreare gran parte del mondo, e se non riusciamo fin da ora ad immaginare e a costruire scampoli di comunizzazione anarchica (o chiamatela come vi pare), rimanendo peraltro autisticamente su quello che è il territorio della politica e dello Stato (e dei loro “spostamenti di truppe”), allora mi sa proprio che perdiamo in partenza.
Impariamo quindi ad operare eludendo la forza militare dello Stato. Non rivendichiamo alcunché. Usciamo fuori dalle contese spettacolari politiche e prendiamoci ciò che è alla portata delle nostre potenze individuali e di gruppo.
7 agosto 2013. Testo passibile di aggiornamenti e integrazioni (che indicherò eventualmente qui di seguito).