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[La breve nota biografica sul poeta cinquecentesco Nicolò (o Niccolò) Franco inserita in Poesia erotica italiana dal Duecento al Seicento, con quattro dei suoi 12 sonetti ivi antologizzati.]

niccolofranco1Nicolò Franco (Benevento, 1515 – Roma, 1570) :: Di umili origini, si stabilì a Venezia nel 1536, dove l’anno successivo entrò alle dipendenze dell’Aretino. Ben presto, le sue grandi ambizioni letterarie lo posero però in concorrenza e in netto contrasto col suo protettore, costringendolo a lasciare precipitosamente la città lagunare. Ci si fa un’idea dell’astio intercorrente tra i due scorrendo le molte decine di sonetti ingiuriosi che il Franco inserì a bella posta nella raccolta intitolata La Priapea (1541), opera smaccatamente anticlericale e licenziosa, dalla quale son tratti i testi che seguono, e che costruì la fama maudit dello scrittore beneventano. Nel 1558, approdò a Roma in cerca di fortuna, dopo aver soggiornato in varie città italiane (Casale Monferrato, Mantova, Napoli). Privo però di solidi appoggi curiali, il Franco scrisse un violento libello contro papa Paolo IV e la potente famiglia Carafa, cosa che lo portò ad essere processato e condannato a morte dall’Inquisizione. Venne impiccato sul ponte di Castel S. Angelo l’11 marzo 1570. [Qui sotto la copertina dell’edizione Carabba del 1916].

niccolofranco3



III

Nell’opra, ch’ora io tesso al chiaro onore
Del Dio degli orti,1 forza è d’invocare
Come i bravi poeti soglion fare
Da tutte Muse voi, lena e favore.

Piacciavi dunque o Dive, per amore,
La debil penna mia farmi rizzare,
E darmi, onde il parlar si possa ornare,
Le vostre lingue in bocca per quattr’ore.

Da voi si guidi la barchetta mia,
Che sotto l’ombra delle vostre gonne
Pervenga al fin della profonda via.

Siatemi innanzi voi forti colonne
Da sostenermi, e ben vi disdiría2
Non sostenendo un cazzo, come donne.

VII

Non vorrei, perchè io sia sì liberazzo,3
Alcun di voi mi pensi lapidare,
Perchè negli orti miei si può ben fare
Dove non è crianza da palazzo.

La potta io chiamo potta, il cazzo cazzo,
E il culo culo, e questo è il vero andare;
Perchè da furbo non si dee parlare
Sè con furbi non siamo, o per sollazzo.

Anzi vi dico che se mai mi tocca,
Dove fra donne stassi ragionando,
Lascio al Boccaccio la sua filastrocca.

E senza cerimonie parlando
Appunto come viemmi in sulla bocca
A voi donne da fottere dimando.

XVII

Donne, la legge vuole e la natura,
Che ciascuna di voi mi sia cortese
D’un bacio almanco, poichè per le chiese
Baciate fino a i legni con le mura.

L’onor del mondo non vi dia paura,
Che un bacio non pregiudica all’arnese;
E se viver vogliamo alla francese,4
Bocca baciata non perde ventura.

Ma, poichè non volete questo invito,
Andate pur, ch’io non vi vo’ invitare,
Anzi d’averlo detto son pentito.

Perocchè quel non fottere e baciare,
Ad un ch’aggia grandissimo appetito
A punto è come il bere e non mangiare.

XLII

Gran cosa è ’l cazzo, se ’l vogliam guardare,
Che non ha piedi, ed entra ed esce fuore,
Ch’è disarmato ed ha così gran core,
Che non ha taglio, e puote insanguinare.

Gran cosa è poi, e gran miracol pare,
Ch’è senza orecchi e sente ogni rumore,
Che non ha naso e piacegli l’odore,
Che non ha occhi, e vede dove andare.

Gran cosa, e ben da croniche e da annali,5
Che non ha mani e cerca di ferire,
Che non ha gambe e vuole gli stivali.6

Ma cosa più mirabile a sentire,
Ch’entrando in corpo a furie infernali, 7
E sano e salvo se ne sappia uscire.

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1 Il dio Priapo.

2 Vi disdiria: vi sia sconveniente.

3 Oggi si direbbe: di liberi costumi, libertino.

4 In epoca rinascimentale, il bacio con la lingua veniva detto “alla francese”.

5 Ben da croniche e da annali: degno di figurare in cronache ed annali.

6 Stivali: probabile allusione al profilattico, il cui uso si estese nella prima metà del Cinquecento, soprattutto per difendersi dalla sifilide.

7 Riferimento ad una famosa novella del Decameron (giornata III, novella X).