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[ Le seguenti scritture brevi sono dedicate a Roberto Belli e ai ragazzi che organizzano il festival Mu.Vi.Ment.S. in quel di Itri. Le foto a corredo del post sono di Donatella Vitiello e Gianpaolo Del Bove, e riguardano proprio la presenza, mia e del progetto PNG, alla decima edizione del festival itrano, tenutasi il 28-29 dicembre 2014. ]



L’ospitalità non è mai un semplice accogliere, bensì un lasciar fluire l’Altro attraverso la propria voce; un fargli ponte, un dargli transito, permettendone un sonnacchioso ristoro agli angoli dei luoghi divenuti comuni, oppure, più sovente, un distacco del proprio pensiero dai corpi ritenuti incompatibili, quantunque in un rumore di certezze infrante, ancora e sempre da riparare/restituire/destituire.

Ciò che non muore, dopo il rumore, è l’amicizia tra i corpi che se ne fanno eco.

Nella storia dell’umanità, cosa c’è di più comune e puerile d’un fortilizio? I tentativi di barricarsi dentro un’idea si sprecano; il territorio diventa armatura degli spazi, contrappunto di energumeni nascosti sotto una qualche bandiera, dietro un qualche dio. Eppure il rumore non s’infrange contro le alte mura del castello. Il rumore passa attraverso, come un’alleanza tra fuoco e aria, e non mette radici, malgrado le registrazioni che ne fa la memoria, il Libro o il mercato.

Tornare all’amicizia. Rimbalzare contro il destino.

Ogni imbrigliamento del rumore diventa celebrazione vuota e autistica, allorché non parta dalla volontà di attenersi al ritmo nativo del vivente o, quanto meno, ad averlo come ritorno possibile, come eco.

Il ritmo originario è il battito del cuore, la cadenza dei passi. Si tratta evidentemente di qualcosa che muove o smuove.
Altra evidenza: non ci può essere costruzione se non a partire da un movimento, da una “fisica”. Le macchine sono un semplice corollario, un fulcro transitorio; andranno infatti annientate nella soddisfazione definitiva.

I nostri rumori sono il denudamento o il popolamento più o meno arbitrario dello spazio. Sta a noi sceglierne un andamento scaltro, gioioso – da cui deriverà senz’altro la possibile unione delle voci – o, al contrario, il naufragio patetico di ogni nostro ritmo.

Pomeriggio dell’undici gennaio duemilaquindici