La poesia impegnata è una poesia da preti.
Preferire semmai una poesia impregnata.
Acconciamente umorali,
pisceremo sul valore mercantile delle parole.
Anarcovisceralista è l’ingenuità mista a decisione inconsulta:
trasformazione delle
nostre tante negazioni in un phylum che ci
riporterà al labirinto in cui non abbiamo ancora giocato.
*
Abbiamo parlato abbastanza.
Il discorso volge al brutto.
Alcune parole sono come puntaspilli.
(Ci sono troppi cantieri aperti nel
cuore del libro).
Le labbra fanno le preziose e
baciano solo gli abissi non detti.
In tempi d’assedio,
la mente si porta sbottonata.
*
I cambiamenti spaventano. Arrivano a spaventare anche molti di quelli che si dicono rivoluzionari o che non si dicono affatto (il che può risultare addirittura più sovversivo: il non dirsi, il non perdersi tra i nomi, il proporsi come presenza in movimento e non come mero custode di nomi mutuati dal passato).
Io sto attraversando attualmente una fase di grandi mutamenti. Ciò mi spaventa, devo ammetterlo, pur essendo ormai uno che sta provando a dirsi sempre meno in rapporto al passato.
Non è mai facile accettare ciò che si muove in profondità smuovendo parti importanti di sé. Non è affatto facile. Eppure, perché averne paura? Voglio dire, da cosa nasce una tale paura del cambiamento?
Di sicuro, non mi pare che io stia morendo; ho un fisico ancora integro, maneggio nuove idee, innesco entusiasmi in me e negli altri, ho amici formidabili e sto per andare a vivere in un luogo legato amorosamente alla mia infanzia. Perché dunque questa paura che affiora a sprazzi?
Riflettendoci su con un minimo di lucidità, sento che è soprattutto il passato a fregarmi, non solo l’incertezza del futuro (che comunque influisce, ciò è indubbio). Sono infatti le abitudini, le piccole certezze legate a rapporti esauritisi e dinamiche inveterate, a costituire un corpus di inerzie, una massa vischiosa in cui annaspa il mio coraggio.
Ho usato non a caso il termine “rapporti”, perché qui voglio sottolineare le divisioni, le diminuzioni della nostra unicità biologica e di pensiero agenti all’interno di determinate condizioni sociali (la famiglia, la coppia, ecc.). Parlo quindi di situazioni in cui la relazione tra viventi diventa una rilegatura rigida, un coacervo di ruoli, una continua accettazione dei mali minori per far sì che le situazioni continuino a replicarsi così come sono, separandole quindi da tutto il resto del possibile.
Da quando ci siamo strutturati una vita blandamente agiata (tenendo sempre a portata d’acquisto le cose che scongiurano la fame), noi umani abbiamo rinnegato l’avventura, gli sconfinamenti, la “caccia”, volendoci ogni giorno dentro un recinto definito, “domestico”, in cui dominano ormai i surrogati triviali dell’azzardo.
Uscire da un tale territorio ci fa paura, ammettiamolo. Non siamo più fatti per andare a vedere le carte in mano al destino. Preferiamo giocare con un mazzo truccato, perché abbiamo paura di perdere, di perderci, e non vediamo più quanto si venga appiattiti e anestetizzati dalla facilità che si compra sui banchi del mercato.
Tuttavia, il destino è ironico e continua imperterrito a farsi i cazzi nostri. Nulla rimane immutato – e se qualcosa restasse stabile per un lungo lasso di tempo, potrebbe sempre apparirci criticamente come un anticipo di morte.
Occorre ripetersi che non ci sono soluzioni durature, né sedimenti eterni di ciò che si manifesta. Bisogna mettersela via. La relazione tra noi e il cosiddetto mondo è sempre un rivoltar zolle. Impariamo dunque a seminare e a innaffiare anche le nostre paure! Cerchiamoci una terra fertile e salutiamo ogni volta l’alea della mietitura!
Io sto imparando. Lentamente, faticosamente. Non svicolo più. Il mio destino, a quanto pare, è il movimento. Il mio pensare somiglia ogni giorno di più ad un continuo incendio. Insomma, sembrerebbe una grande ventura, la mia, se riuscissi ad accettarla compiutamente. E forse, su tutte, potrebbe rivelarsi anche la più fausta.
I due testi “anarcovisceralisti” posti in esergo risalgono al 2014. La parte restante del testo è stata scritta il 30-31 maggio 2015. Illustrazioni di Fabienne Rivory.
L’ha ribloggato su sergiofalcone.