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Geraldine-Georges



Quale scalpo del pensiero prenderemo alla
testa degli esagitati?
Ci sono servi che invocano il diritto a
fingersi uomini e
sguardi che innestano baionette.
Quale mano stringeremo per poter fare un
nodo alla linea della vita?

Le regole sono semplici:
sormonta la paura,
abbraccia il possibile figlio
e l’impossibile padre,
tramonta sull’odio,
tramonta sull’albero selvatico della morte,
parla come un incendio,
albeggia sulla sfida ulteriore e senza più centro.

*

Mai lamentarsi.
Il lamento ti perde, ti perde sempre, e ciò ancor prima di
ottenere una qualche attenzione.
Lamentandoci, non facciamo infatti che scontare accresciuta la
colpa che riteniamo di poter addossare agli altri attraverso le
recriminazioni circostanti.
Al limite, lamentarsi unicamente del piagnisteo generalizzato,
dell’indignazione manierata. (Ma neanche questo, neanche
questo).

Bisogna prendere la forza.
Occorre prendere ciò che ci riporterà ai giochi terribili del destino,
e non all’innocenza.
L’idea dell’innocenza serve solo i
potenti e il loro vizio di assegnarti una
libertà per partito preso.

Il punto e virgola è porno,
l’orizzonte degli eventi è porno,
il rumore di fondo dell’animale umano è porno.

Solo a questa condizione,
alla condizione cioè di un’apertura sguaiata del pensiero,
apertura in cui il pensiero stesso muore,
e dove anche la poesia non se la passa granché bene,
solo così potremo prendere sovranamente, e senza che nessuno
ci venga a fregare con una qualche ideologia dell’appropriazione.

(I giochi del destino non si spiegano.
Si piegano e basta).

Naomi Vona

*

La forza è il pianto colmo d’ironia,
il rumoreggiare di chi non si perde tra le parole.

Ti parlo da un franamento del già detto,
da un disastro morbido dell’umano che mi fa ridere come
ride il sole ad ogni alba.

Ed è come se io ti dicessi: «Possa la poesia giungere per tutti,
a condizione che,
proprio grazie a tale augurio,
io sia escluso da ogni durata delle parole in vendita».

*

I postulati del nero sono l’anticamera di una
nuova origine.

La precedente frase non significa niente se
l’uomo non accetta di perdere i colori osannando la
notte dell’amor fati.
Il corsivo punge meno delle rose,
le donazioni di saliva sono in decremento,
Dada rimane l’ultimo testimone del futuro già morto.

*

Qualunque cosa dica il tuo vicino,
potrebbe essere una sommessa finzione etimologica;
a meno che non sia ironicamente un rumore di
corpi infranti.
La parola rumore, a dirla tutta, ha una radice onomatopeica che la
imparenta coi termini ruggire e ruttare.
Chiaro il rapporto tra l’espettorazione del nulla e
la coazione a urlare?

Tutto è ciclo,
tutto è ritmo,
battito di mani nel rumore di fondo del cosmo.

Mantenere un corpo,
un segreto,
nel senso particolare di un corpo che non si dice
e che presuppone l’impossibilità di dirsi una volta per tutte.
Riserbo assoluto,
per niente rapportabile agli stratagemmi poetici.
Densità,
colore di ciò che non si obbliga più alla parola traslucida.


2014-2015. Illustrazioni di Geraldine Georges (in alto) e di Naomi Voma.