a Grace
Non dimentico chi sono e cosa voglio,
quando t’incollo sulle labbra le mie sconcezze.
Non dimentico la guerra da portare nelle case dei padroni,
né dimentico gli animali abbandonati o i bambini che piangono sotto le bombe.
Faccio solo in modo che si sia forti abbastanza per
non abbandonarsi ad un semplice due.
Anche la tua fica è un’arma per l’insurrezione,
anche la notte dei sensi serve alle giudiziose imboscate di chi non
svende alla prima visione la poesia degli occhi.
17 luglio 2015
Quando accadde il paradiso,
vi fu un angolo di mondo che non volle rientrarci.
Troppo banale la certezza di potersi salvare
grazie alla remissione del desiderio.
La mia terra calcarea somiglia ai tuoi angoli nascosti:
si spacca ad ogni svelamento,
ad ogni insinuazione.
Come credere di toccare l’essenziale
se non provo a leccarti via le nuvole?
Le stelle dei poeti son venute a vivere ai tuoi piedi.
“Un fermacapelli di ferro battuto fa
tutto questo?”
No, fa molto di più:
tiene fuori da queste parole gli aguzzini che
rasano a zero la testa e il principio di ogni possibile.
Il possibile che passa dal tuo ventre alla
galassia di Andromeda.
Ventre di congetture vulcaniche e
avamposti di folgore,
ventre di dèi in rotta e
vendemmie ingenue.
Puoi sentire la risacca bambina della mia passione?
Toccarti il culo e
tradire la morte.
Penetrarti con tutto il mio destino e
violare la notte.
Puoi accogliermi nel labirinto moderno di
un Minotauro senza più dolore?
18 luglio 2015. Immagine presa dal web.
L’ha ribloggato su sergiofalcone.